Milano 13 Dicembre – Se non ora quando, verrebbe da chiedersi. Quale nemico migliore dello Stato islamico da condannare nella più grande assise di femministe del nord America, quell’Isis che rapisce, vende e stupra le donne sotto il suo controllo, che le ingabbia sotto il burqa e le usa come carne da cannone nelle operazioni suicide? E se il califfo al Baghdadi non scalda abbastanza la platea militante delle femministe, perché non denunciare i crimini contro le donne nella teocrazia iraniana, dove sono proibite le unghie lunghe, le gemme nei denti, i cappottini stretti, i foulard che lasciano uscire lunghi ciuffi di capelli e gli stivali con i tacchi sopra ai pantaloni?
Ovviamente no. La National Women’s Studies Association ha scelto un nemico ben più appagante e meno pericoloso: lo stato di Israele. L’unico paese del medio oriente dove le donne occupano una posizione di prestigio in politica, nella cultura, nelle attività sociali, da Golda Meir a diversi premi Nobel fino a Tzipi Livni, leader dell’opposizione. E se si dovesse varcare la linea del 1967 basta chiedere alle donne palestinesi se stiano meglio a Ramallah o a Riad. Eppure, le femministe della National Women’s Studies Association hanno votato il boicottaggio delle colleghe israeliane e delle istituzioni dello stato ebraico. Come ha detto la professoressa Simona Sharoni a Inside Higher Ed, “il 90 per cento dei membri della National Women’s Studies Association ha votato la risoluzione”. “Il voto è un tradimento della realtà e delle donne, specialmente delle donne che vivono sotto la sharia”, dice al Foglio Phyllis Chesler, settantenne madrina del femminismo americano dall’alto delle milioni di copie vendute di “Le donne e la pazzia”, caposaldo della letteratura femminista degli anni Settanta. “L’associazione non condanna le atrocità perpetrate sulle donne musulmane da Hamas, Isis, Boko Haram, talebani. Nulla sulla natura pervasiva della mutilazione genitale femminile o il matrimonio infantile nel mondo arabo-islamico. Nulla sul terribile destino delle donne che osano scegliersi i mariti. Israele non è un paradiso femminista, ma le donne si battono per i loro diritti e se le nostre controparti femministe facessero lo stesso alla Mecca, Mogadiscio, Teheran, Islamabad e Kabul, sarebbero incarcerate, stuprate, torturate, decapitate o lapidate. Le femministe hanno scelto thanatos su eros, timorose delle accuse di ‘razzismo’ e ‘islamofobia’. Sono codarde e conformiste nella loro perfidia.
Ci sono femministe che trovano allucinante l’apartheid di genere dell’islam ma hanno paura di dirlo e di perdere la reputazione, gli amici, il lavoro”. E’ stato un imprenditore ebreo canadese, Steve Maman, a salvare centinaia di ragazze yazide dalla schiavitù sessuale dello Stato islamico. E’ il paradosso indicato da Phyllis Chesler: “Sono stati i cristiani, non le femministe, a salvare queste ragazze dall’Isis”. E’ il paradosso di femministe scatenate contro l’oscurantismo cattolico sulla donna ma supine sulla soumission della donna musulmana, teoriche dell’unisex ma anche del velo islamico come “emancipazione”, boicottatrici dell’“occupazione” di Israele che si inginocchiano, silenti, di fronte all’occupazione dei corpi delle donne nel mondo arabo-islamico. Sono le migliaia di yazide bionde segregate legate al letto del califfo a chiederlo alla National Women’s Studies Association che boicotta Israele e non i crimini islamisti: se non ora quando? Non hanno scelto di dare in affitto il loro utero.
Giulio Meotti (Il Foglio)
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