Milano 23 Dicembre – Continuano le manifestazioni dei “truffati” dal Salvabanche. Le virgolette segnalano che non si tratta di quelli che hanno messo i soldi di tasse che hanno consentito la manovra di salvataggio, ma di quelli che hanno giocato alla roulette ed ora si accorgono che il croupier sorrideva, mentre loro depositavano le fiches, non per simpatia, ma per mero calcolo. Già, il croupier. Finora abbiamo parlato dei manager che hanno dilapidato i soldi che restavano in cassa prima di fuggire. Del Governo assente. Del clan Boschi e dei loro affari in casa Etruria. Abbiamo, come hanno fatto tutti, sorvolato incuranti su chi vendeva le obbligazioni. Scusate se riassumo, ad ora il problema è il seguente: Tizio è entrato in filiale, ha ricevuto dall’impiegato Caio la proposta di mettere i suoi soldi in investimenti che rendevano fino a due cifre. Non si è fatto domande, non ha letto alcunchè, se ha letto non ha capito, se ha capito comunque si è sentito rassicurato dal fatto che l’operazione era “sicura” (cosa volesse dire non si sa, ma va bene così). Poi la Banca ha fatto crack ed il Governo si è rifiutato di usare i soldi vostri per rimborsare Tizio. Ottimo. Ad oggi la colpa è stata scaricata nell’ordine: sugli avidi banchieri, sugli incompetenti burocrati che li hanno lasciati operare e sul Governo complice di entrambi. Il sottoscritto e pochi altri hanno attaccato anche Tizio, che secondo noi non era esattamente così innocente. Nessuno però ha parlato di Caio. Caio, dipendente modello, ha alcuni punti da spiegare. Individualmente, qui non si fanno generalizzazioni. Però qualche domanda sì, la si fa. In primis: il risparmiatore si è fidato. Il manager poteva non sapere le pratiche quotidiane per piazzare prodotti ad alto rischio a risparmiatori qualsiasi. Ma lo sportellista non ha nessuna delle due possibilità. Doveva aver letto e compreso quel che vendeva. E doveva sapere come lo stava facendo. Quindi ha una posizione ben complessa da difendere. Certo, può sempre dire “eh ma se non lo facevamo ci licenziavano”. Basta crederci. Basta credere che in uno dei settori più sindacalizzati del paese più sindacalizzato del Mediterraneo, i licenziamenti di chi si rifiutava di delinquere fossero pratica comune. Infatti le giustificazioni sono state un po’ diverse.
Come fonte uso il dipendente che avrebbe, condizionale d’obbligo, venduto le obbligazioni al pensionato suicida. Lui diceva che li minacciavano… di bancarotta. Cioè, o vendete o finiamo tutti sul lastrico. Ah. Questa però non è minaccia. E’ complicità. Probabilmente ci sono molte più storie dietro, ma non dubito che questa sia stata tra le più presenti. E creo costituisca il fondo comune a tutte. I dipendenti, o meglio, parte di essi, deputati alle vendite ci sono andati pesanti. Per qualche strana ragione, però, li abbiamo salvati tutti. Loro e quelli che magari si sono rifiutati. Ce ne saranno no? Ce ne saranno che hanno detto no agli ordini. C’erano sotto il nazismo, ci saranno stati anche qua! Ecco, visto che partono le commissioni d’inchiesta, almeno un censimento lo vogliamo fare? Vogliamo scoprire chi ha venduto cosa a chi? Oppure siamo tornati all’epoca degli armadi della vergogna e degli ordini che scusano a prescindere?
La verità è che con il management puoi prendere accordi. Ai risparmiatori puoi dare qualcosa. Ma se tocchi i dipendenti rischi che si aprano i cassetti ed emerga tutta l’architettura della gestione delinquenziale della faccenda. E che qualcuno racconti di come, in effetti, il metodo migliore di piazzare prodotti dubbi era domandare all’investitore se credeva davvero che il Partito li avrebbe lasciati soli…
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,