Che cosa manca e che cosa serve a Milano?

Milano

Milano 24 Dicembre – E a proposito delle roboanti e spocchiose dichiarazioni di Pisapia pubblicate ieri, sembra rispondere su Il Foglio, Nicola Bedin amministratore delegato del San Raffaele. Pisapia – ricordiamolo – dichiara implicitamente di essere stato bravo, anzi bravissimo, praticamente il miglior sindaco che si potesse avere. Ovviamente non sono risposte dirette, ma riflessioni che manifestano amore per la città e, contemporaneamente, denunciano limiti e povertà di idee di questa amministrazione. E ribadiscono che la soddisfazione di Pisapia non fa bedin4fare passi avanti ad una città che ha bisogno di slancio, di progetti davvero innovativi, con il concorso di classi dirigenti e cultura a confronto. Da qui la domanda: cosa manca e cosa serve oggi per governare Milano? Riproponiamo l’intervento di Nicola Bedin “Milano dovrebbe superare la sindrome da primo della classe. Sentirsi i migliori è un grave difetto: adagiandosi sugli allori si finisce per regredire. Le ragioni sono semplici. Primo. Il progresso deriva da un fuoco interiore che porta a svilupparsi, a non essere mai sazi, a voler raggiungere la tappa successiva, a guardare verso orizzonti lontani. Insomma, a migliorarsi. Ma chi si sente già il migliore come può migliorare? Milano pensa di essere in vetta, ma da una vetta si può solo scendere. Secondo. E da una vetta si guarda tutto dall’alto verso il basso, e questo implica un ulteriore rischio di impoverimento, quello causato dal non confrontarsi con il resto del mondo. L’autoreferenzialità genera involuzione. La città si deve invece aprire all’esterno, ed essere curiosa. Socrate diceva di sapere di non sapere. La nostra Milano oggi invece rischia di essere convinta di sapere già tutto. In termini concreti, pensiamo veramente che, fatto l’Expo, abbiamo fatto tutto? Pensiamo veramente di poter continuare a vantarcene? Un altro tema da superare è l’accettazione dello status quo. E’ innegabile che nei tempi recenti ci siano stati dei cambiamenti, magari anche vistosi (come la realizzazione di nuovi complessi edilizi moderni), ma – al di là dell’apparenza – vi sembra davvero di trovarvi di fronte a una nuova Milano? A me sembra invece di trovarmi a volte di fronte a una Milano rassegnata ad essere quello che già è. “Stay hungry, stay foolish”, diceva Steve Jobs. E se il monito a rimanere hungry lo si coglie superando la sindrome da primo della classe, quello a rimanere foolish va seguito puntando a scardinare gli schemi, a rivoluzionare le visioni correnti, a reinventarsi, ad aprire nuovi scenari e indicare nuove strade. E qui c’è un problema: per farlo, guarda caso, servono gli uomini e serve che questi uomini si manifestino. Chi guiderà questa grande città dovrà saper identificare e motivare le più fervide menti cittadine al fine di ottenere che si impegnino a contribuire ad un chiaro progetto innovativo. E le dovrà coordinare, perché troppo spesso i molti pregi di Milano derivano da lodevolissime iniziative individuali, che, se messe a sistema, avrebbero nel complesso una forza maggiore ed un’incidenza più significativa di quella data dalla semplice somma dei singoli. Posso fare un esempio banalissimo e, se volete, marginale? E’ mai possibile che gli addobbi natalizi delle strade della città siano tutti diversi uno dall’altro? Non ne risulta forse un effetto di “abbandono”? Le luminarie avrebbero un’alta luce se fossero messe in ordine secondo una precisa regia. Milano può e deve rappresentare un riferimento per l’intero paese, innanzitutto dimostrando capacità di coagulare e organizzare le risorse secondo un’univoca visione strategica.”

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