Piero, lo chef senzatetto dei clochard

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Milano 3 Gennaio – La sera del 31 gennaio era in piazza del Duomo, assoldato come guardiano della sicurezza al grande concerto di Capodanno. Si è trascinato in branda alle due del mattino. E alle cinque in punto era già in piedi, come ogni giorno, per preparare la tavola e la colazione ai 250 compagni del dormitorio di via Mambretti. «Brioche e tovaglioli speciali, adatti al primo risveglio del 2016», spiegava lui, molto compreso nel ruolo. Nessuno lo paga, è solo voglia di fare, quella del senzatetto Pierangelo Orsello, 60 anni, capelli bianchi e pochi denti ma occhi azzurri più del cielo, invalido al 74 per cento. Dorme da due anni in via Mambretti, rendendosi utile come può. All’alba si occupa di allestire la mensa, poi sparecchia, pulisce, mette in ordine i tavoli. Verso le 8, ogni giorno, viene a prenderlo il pulmino che lo porta alle cucine di via Stella, dove la onlus Progetto Arca prepara il pasto per i dormitori della città. Quello invece è il suo lavoro. E così anche ieri Piero, ex chef che ha perso tutto per le disavventure della vita, ha farcito 120 panini e si è messo ai fornelli: pesce, stavolta.

Torna di sera al dormitorio, riposa pochissimo e col buio già si infila la maglietta per scendere dove – da volontario – apparecchia, scalda, cuoce. Ma come può finire così, senza casa, un uomo con una vitalità e un’energia dirompente come quella che nonostante tutto non abbandona Piero? È in gamba, ci sa fare. Ha iniziato a lavorare a 14 anni a Pietra Ligure: «Pulivo i bungalow e pelavo patate». Lavapiatti, addetto alle pulizie, capo di una cooperativa purtroppo fallita. Ha fatto di tutto.

Nel 2003 si trasferisce a Praga, trova impiego in un albergo dove lo notano per caso – un po’ come Ratatouille – per le sue abilità culinarie. Finisce per occuparsi del ristorante. Dieci anni «felici» ma poi l’hotel chiude e un altro lavoro non si trova. Piero sceglie una città a caso, viene a Milano dove per mesi dorme in Stazione Centrale. «Mi sedevo su una panca, bevevo alla fontanella, mi sedevo di nuovo. Qualcuno, spesso un senzatetto, mi allungava un panino». La condanna più grande era l’inattività.

In via Mambretti ha trovato un grande amico, Stefano, e faticosamente sta risalendo la china. «Lavorando – dice – ritrovo un po’ di dignità». In testa ha un chiodo fisso: Catia, di Vicenza. Si sono conosciuti su Facebook, vorrebbero sposarsi. «Se solo avessi una casa, la inviterei da me a Milano. Lei non lo sa, che la casa non ce l’ho…».

Elisabetta Andreis (Corriere)

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