Le femministe adesso preferiscono l’Islam

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Milano 12 Gennaio – I recenti “fatti di Colonia” – ma soprattutto i commenti seguiti agli stessi – hanno messo a nudo un fenomeno che appare molto difficile da comprendere: l’alleanza ormai organica fra femminismo e Islam in Occidente.

Le violenze e gli oltraggi alle donne tedesche e alla loro dignità morale e integrità fisica da parte di consistenti gruppi di immigrati nel corso di una notte brava di capodanno (episodi che sono accaduti anche in altre città europee, da Zurigo a Helsinki) sono una vera disgrazia che per un giorno intero ha lasciato attonite le femministe del continente. Dopo un giorno di silenzio, dall’ultima giornalista, alla sindaca di Colonia, alla Boldrini è partito un coretto che si sostanzia nella sommessarichiesta di archiviazione della vicenda. Quelli che la Boldrini ha chiamato “atti di mancanza di rispetto”, ad avviso di Henriette Reker, sindaca di Colonia, possono comunque essere evitati se solo “si sta in piccoli gruppi, mantenendo a distanza di braccio gli stranieri”. Due giornaliste tedesche, Stephanie Lohaus e Anne Wizorek, hanno immediatamente suggerito la versione politicamente corretta dei fatti: la cultura dello stupro in Germania non è certo di importazione. I “fatti di Colonia” dimostrano solo che “la Germania ha ancora problemi di sessismo e razzismo. Sta a noi fare in modo che queste tendenze non trovino pane per i loro denti. Bisogna prendere le distanze dalla rape culture”. Cultura dello stupro che è un prodotto squisitamente locale, al punto che all’Oktoberfest moltitudini di maschi europei si comportano con le donne esattamente come hanno fatto gli immigrati a capodanno. Insomma, gli uomini sono uomini e non c’è bisogno di nessuna Circe per trasformarli in porci e anche in delinquenti, ma gli europei sono sempre peggio, sembra essere ilmessaggio politicamente accettabile di questi giorni.

Ben oltre gli eventi e le analisi da brivido che li hanno accompagnati (se fossero stati uomini locali a comportarsi a quel modo, le femministe li starebbero giustamente cercando casa per casa armate di trinciapolli, altroché scrivere articoli e suggerire di tenersi a distanza), occorre comprendere da dove viene questo atteggiamento. Si tratta infatti di una reazione davvero sconcertante giacché proviene da gruppi consistenti che hanno fatto del corpo violato delle donne la propria ragione sociale. Eppure in un caso collettivo ed eclatante di palese violazione dei diritti e dei corpi delle donne è iniziata una serie di condanne di facciata, ma con distinguo veramente poco edificanti, che tuttavia hanno una loro profonda ragion d’essere. Vediamo in estrema sintesi qual è.

Il radicalismo islamico trova il proprio più importante alleato nella radicalità di alcune posizioni antioccidentali post-marxiste. Nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso, mentre Karl Marx andava definitivamente in soffitta iniziava una storia assai complessa di spartizione della sua eredità. Di Marx rimaneva vivo essenzialmente uno spunto, ossia la nozione dell’esistenza sempre e comunque di oppressi e oppressori. L’idea di fondo del post-marxismo è che nella società esista sempre una molteplicità di discorsi diversi e incommensurabili che producono “narrazioni” talmente divergenti che i gruppi dominanti e le categorie oppresse non possono neanche dialogare. Il che significa che l’antagonismo fra prospettive incompatibili è inevitabile e “al coltello”. Se la teoria classica immaginava uno scontro tra interessi individuali e il marxismo vede il conflitto in termini di classe, la teoria critica della razza e quella femminista hanno ormai stabilito con certezza che esisteun unico gruppo di oppressori, dal punto di vista culturale, economico e politico. Si tratta deimaschi bianchi, perlopiù eterosessuali, di origine europea che vivono nelle società, ma soprattutto sono sepolti nei cimiteridell’Occidente. Le strutture del dominio sono infatti state costruite nel corso di venticinque secoli di una storia tutta sbagliata. Gli oppressi naturalmente sono invece tutti gli altri: minoranze razziali e culturali, persone di diverse tendenze sessuali e donne, soprattutto donne. Quindi il maschio islamico è per definizione e a priori, dalla parte della donna occidentale, giacché fa parte dei gruppi subalterni all’asse unico dell’egemonia. Anche concedendo che fra le mura domestiche costui possa comportarsi in modo non adamantino con qualche donna, ciò che conta è solo la scena pubblica, politica, nella quale l’islamico è subalterno.

Se esistono solo coppie di oppressori e oppressi (uomini-donne, bianchi-neri, europei-arabi, cristiani-non cristiani) il discorso politico diventa certo ultra-semplificato, ma vede alleanze inossidabili e impensabili alla luce della sola ragione.  Le minoranze etniche, le donne, le lesbiche e i gay sono portatori di differenze che giustificano un trattamento costantemente diseguale. A loro non possono essere applicate le categorie astratte del diritto borghese e quelle visioni universalistiche dellagiustizia che altro non sono se non maschere del dominio del maschio bianco. La ben commendabile lotta al razzismo è stata solo l’inizio di questa bizzarra dottrina politica anti-occidentale che pervade ormai le nostre società, poi il radicalismo culturale post-marxista ha fatto il resto.

Questi sono gli antefatti profondi che fanno sì che le donne (o meglio, le loro piccole, ma potentiavanguardie culturali femministe) non hanno in generale alcun timore dell’arrivo di moltitudini di diseredati del terzo mondo nelle loro società. Si tratta di sodali nella lotta contro l’oppressore. È un’alleanza soggettivamente unilaterale (chiedete agli imam cosa ne pensano del femminismo), ma oggettivamente assai potente, che può subire qualche battuta d’arresto, ma non può rischiare di sfaldarsi per qualche episodio di violenza.  Certo, sarebbe facile sostenere che donne e minoranzehanno una sorte migliore, almeno oggi, all’interno delle società sorte sui resti delle civiltà cristianecreate dall’uomo bianco. E tuttavia una argomentazione del genere sarebbe ridicola per la teoria femminista, che non è intenta a migliorare le condizioni delle singole donne, ma a sovvertire le strutture del dominio.  C’è da augurar loro però che non le sovvertano del tutto: potrebbero scoprire sulla loro pelle che vi è un’infinita lista di gruppi che si son messi in fila per passare dalla parte degli oppressori. E a quel punto l’alleanza potrebbe incrinarsi per sempre.

Marco Bassani (L’Intraprendente)

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