Milano 22 Marzo – Dice il Procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, ricordando il primo maxi-processo istruito trent’anni fa da Giovanni Falcone: «In Sicilia ancora esiste una struttura mafiosa che tiene l’ordine, anche se in alcune zone si sta sfilacciando. In Campania i vuoti di potere determinati dagli arresti hanno scatenato una guerra per bande. Da Roma in su, operano componenti evolute delle mafie – soprattutto la ’ndrangheta – che non solo si sono delocalizzate, ma anche internazionalizzate. Queste offrono quello che chiedono migliaia di persone normali: stupefacenti, prostitute, falsi griffati. E ci sono tantissimi imprenditori ai quali queste mafie offrono servizi che abbattono i costi o incrementano i profitti, come lo smaltimento illegale dei rifiuti o la fornitura di manodopera sottopagata o schiavizzata. Questa mafia silenziosa ha con i territori non un rapporto aggressivo ma collusivo, utilizza la violenza solo se è indispensabile».
Dice Saverio Capolupo, comandante generale della Guardia di Finanza, facendo un bilancio della caccia agli evasori, ai manager corrotti, ai giudici tributari che vendono sentenze: «Non credo che i controlli siano una leva idonea e sufficiente per eliminare il problema della corruzione e della concussione. Il problema è culturale: lo scarso senso della legalità economica. Il nostro obiettivo prioritario è combattere gli sprechi e l’uso distorto del denaro pubblico, per riportare la legalità nell’economia e far sì che tutti gli imprenditori possano lavorare in condizioni ottimali».
Dice il Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, commentando la relazione annuale del proprio Ufficio: «Un imprenditore che non denuncia dovrebbe essere espulso dalle gare pubbliche, perché quel suo fare affari con la mafia non significa soltanto andare contro la legge, ma anche alterare irrimediabilmente le regole del mercato. E non solo: sarebbe auspicabile anche una presa di posizione seria delle associazioni di categoria. Non basta annunciare protocolli anti-pizzo. Se un imprenditore o un commerciante taglieggiati negano davanti agli inquirenti, bisogna allontanarli dall’associazione».
Dice il centro studi Economia reale fondato da Mario Baldassarri: «Se nei 13 anni compresi fra il 2002 e il 2014 si fossero combattute seriamente corruzione ed evasione fiscale, il Pil reale italiano sarebbe oggi superiore del 17% a quello attuale». Ma già il Governo Monti aveva calcolato che la corruzione farebbe salire di almeno il 40% il prezzo delle opere pubbliche e le analisi di Confindustria e di altri analisti hanno più volte dimostrato – cifre alla mano – che «la corruzione mortifica la concorrenza e blocca l’innovazione. Perché, infatti, investire per migliorare i prodotti e fare efficienza, quando si può vincere un appalto pagando un funzionario?». Senza bisogno di ripetere che quanto più la burocrazia si ingarbuglia e acquisisce spazi di potere, tanto più saranno a portata di mano le occasioni per corrotti e corruttori.
Non c’è molto da aggiungere alle analisi e agli inviti sempre più circostanziati che provengono dagli apparati dello Stato, se non forse due brevi considerazioni. La prima: è un’illusione già vissuta quella di affidare alle sole strette repressive il superamento delle cattive abitudini di un popolo affetto da una profonda trasandatezza civica, grazie alla quale ingrassano criminali economici, evasori fiscali, corrotti, alleati delle cosche. La seconda considerazione è un corollario della prima: da qualunque angolazione la si guardi, la questione centrale resta la disarmante facilità con cui l’economia legale può essere ancora oggi aggredita da delinquenti di ogni genere e non per la loro astuzia o la loro forza, ma grazie alle immense praterie paludose dell’illegalità diffusa, tollerata e praticata, che non offrono alcuna difesa. Anzi…
Queste paludi non hanno più segreti e sono ormai perfettamente segnalate, ma possono essere bonificate solo dalla determinazione dei singoli nel preservare il bene pubblico, rinunciando alle tante occasioni di elusione e aggiramento, copiosamente offerte dalla pessima qualità delle leggi, frutto di una pessima politica.
Lionello Mancini (Il Sole 24 Ore)
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