Finalmente un lampo di politica a Milano

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Milano 12 Aprile – È successo qualcosa oggi a Milano, per una volta nel senso pieno, non giornalistico, del termine, e ci sono molti modi per valutarlo. Ci si può autocompiacere nel gossip (im)politico, ironizzare bonariamente o meno su chi fa un passo indietro, chiacchierare via social. Ci si può arrovellare nei conti, disperdersi nelle percentuali, la politica come abaco e le elezioni come affare geometrico. Un minimo di finezza politica, invece, ci dice che quel che è successo oggi a Milano, Corrado Passerache annuncia il ritiro dalla corsa a sindaco e la convergenza su Stefano Parisi, “per raggiungere l’obiettivo”, anzitutto attraverso “lista civica comune” chiaramente inclusiva rispetto ai confini del centrodestra tradizionale (e crepuscolare), è davvero una notizia nel senso tecnico del termine. Qualcosa che smuove il quadro e destabilizza il già dato, squadernando nuovi scenari sulla capitale dell’impresa e del Pil, e dunque sul Paese. Perché, a maggior ragione da oggi, il renzismo inteso come estremo gattopardismo neodemocristiano, insomma come Partito della Nazionese cade, cade a Milano. E se cade a Milano, a maggior ragione da oggi, cade contro un centrodestra moderno, aperto, non lepenista, liberale per agenda e borghese per antropologia. Non un’accozzaglia sfascista No Triv, No Mercato e No Tutto purché mi porti due voti di rabbia in più, ma un progetto politico in grado di far saltare la premessa del Partito della Nazione, la sola che lo rende possibile: il congelamento del sistema. O io o il diluvio, è ormai l’unica carta che il fu grande comunicatore Renzi getta sul tavolo da settimane. No, esiste un’alternativa, esiste la possibilità di un’alternanza, che è poi quell’inezia che connota le grandi democrazie occidentali, a Milano è radunata attorno a un profilo di governo, di competenza e non compromesso, da oggi palesemente dotato di una quinta gamba civica in senso forte, rafforzata da una traiettoria manageriale indiscutibile e da un lavoro annuale, ed è evidente che di per sè diventa una grana nazionale, per lo statista di Rignano sull’Arno.

Perché la ricaduta politica della convergenza passeriana, e questo è forse il punto essenziale, è liberatoria anzitutto per Parisi. Gli allarga di colpo il campo di gioco, lo toglie alla tutela stretta dei partiti della coalizione, che fosse un riflesso sistemico o un’ossessione imbrigliante poco importa, comunque c’era, ed azzoppava oggettivamente la novità del candidato. Parisi talmente annacquato da non essere più Parisi, è un rischio che da queste parti abbiamo paventato più volte. E invece Sala, il candidato di Renzi e di Verdini, lo batti così, coinvolgendo mondi trasversali in nome di un riformismo liberale credibile, non sventolato con di fianco Majorino e la cagnara arancione. Il piano di Sala (leggi sempre Renzi-Verdini) era rinchiudere il centrodestra nella sua caricatura identitaria e forcaiola, l’intesa Parisi-Passera è la sconfessione esplicita della caricatura, e adesso in odore di estremismo, o comunque di agenda troppo condizionata, sono gli altri, quelli che hanno messo anche l’arcobaleno nel simbolo, come un Pisapia qualsiasi. E, soprattutto, cosa che ci preme di più, la confluenza odierna dimostra che c’è vita oltre la ridotta cortigiana di Arcore o le felpe televisive a tema (per inciso, è quel genere di vita che ha intuito anche l’ultimo Berlusconi, infinitamente più lucido di chi lo circonda e non a caso padre della candidatura Parisi), che il fronte dei liberali, dei moderati, dei riformisti cattolici e laici non è obbligato alla dispersione, o alvassallaggio presso Palazzo Chigi, ma che può ancora giocarsela. E, dicono i sondaggi, pure vincere. A Milano. Non so se mi spiego.

Giovanni Sallusti (L’Intraprendente)

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