Milano 27 Aprile – Le donne costituiscono più del 50% della forza lavoro globale ma meno del 25% ricopre ruoli apicali. Rimane ancora molto preoccupante il dato relativo al gender gap in campo economico e salariale: in questo ambito la disparità risulta essere molto più marcata. La crisi economica ha di fatto allargato il divario tra gli stipendi maschili e i corrispettivi femminili.
Come spiega Stefano Scabbio, presidente di ManpowerGroup per l’Area Mediterranea e l’Europa Orientale, “avere più donne nelle posizioni di leadership non è solo un imperativo etico . Quando parte del pool dei talenti è di sesso femminile, non solo il business ne beneficia, ma si raggiungono una diversità di pensiero e una capacità di prendere decisioni migliori. I CEO hanno bisogno di questo. È anche nostra responsabilità creare e sostenere una cultura dell’inclusione cosciente. Il vero cambiamento ha bisogno di tempo, focus e di disciplina“.
Nel periodo compreso tra il 2008 e il 2013, dice Eurostat l’Italia ha raggiunto un gap del 7.3% rispetto al 4.9% detenuto precedentemente alla crisi.
Nello stesso periodo a livello europeo il gap ha raggiunto un valore medio del 16.4%. Ciò significa che l’Italia, nonostante il peggioramento, ha conservato un valore nettamente inferiore alla media europea.
Secondo rilevazioni Istat relative al terzo trimestre del 2015 però, si evince un ulteriore peggioramento nelle differenze di genere a vantaggio degli uomini.
Emergono anche evidenze importanti relativamente ai tassi di occupazione e ai contratti part-time. Nel 2015, come mostrano i dati Istat, gli uomini presentano incrementi maggiori nel numero di occupati a tempo pieno. D’altra parte risulta essere superiore la percentuale di donne assunte con contratto part-time.
Sono diversi i fattori che influenzano questo trend, uno tra questi è senza dubbio la crescita delle forze di lavoro potenziali, in particolare i lavoratori stranieri.Un altro fattore è dato dalla volontà da parte delle donne di crescere i propri figli. Il divario di genere tende a diminuire se si considera il tasso di disoccupazione, il cui calo riguarda principalmente il genere femminile.
I CONSIGLI PER SUPERARE IL GENDER GAP – Ma cosa possono fare le aziende per facilitare un’inclusione naturale e consapevole del gentil sesso? Basandosi su una serie di interviste a leader e sulla propria esperienza nella selezione del personale, ManpowerGroup ha individuato sette passi pratici per ridurre il gender gap e facilitare l’accesso delle donne ai ruoli di leadeship:
- Cambia innanzitutto te stesso: a ogni singola lavoratrice è demandato il compito di smentire i pregiudizi. Il metodo più efficace è quello di comportarsi come una donna, senza fingere comportamenti maschili, nella speranza che siano proprio questi a far guadagnare visibilità e promozioni
- La Leadership si possiede, non si delega: un leader è un punto di riferimento per i colleghi, non lo diventa con un’investitura dall’alto.
- Gira la domanda e chiediti: “Perché no?”: spesso le donne sono le prime a mettersi i bastoni tra le ruote perché mancano di ambizione e cedono le posizioni più prestigiose ai colleghi uomini senza nemmeno lottare per ottenerle.
- Assumi persone che danno valore alle persone: circondarsi di persone che non hanno paletti mentali e che riconoscono l’importanza di ogni singola risorsa è fondamentale.
- Promuovi una cultura di inclusione, le buone intenzioni da sole non funzionano: tutti i piani aziendali che vogliono agevolare le donne resteranno lettera morta senza una condivisione di valori comuni.
- Sii sincero: quando e dove serve davvero una donna? Il rischio che spesso si cela dietro quote rosa e altre politiche di inclusione delle donne è che si conceda spazio al gentil sesso solo perché si deve rispettare un obbligo. Forse è il caso di dare un’occasione a una donna solo quando questa possiede il profilo ideale per ricoprire una determinata posizione.
- Sii pragmatico: fissa risultati misurabili e realizzabili: le aziende che vogliono spingere la presenza femminile nei ruoli apicali non possono prescindere dalla conta numerica. Solo così avranno il polso della situazione.
IL PARERE DI VALORE D – Per capire qual è la situazione che quotidianamente vivono le lavoratrici abbiamo chiesto un parere a Valore D, la prima associazione di grandi imprese creata in Italia per sostenere la leadership femminile in azienda. Nata nel 2009 dallo sforzo comune di 12 aziende virtuose – AstraZeneca, Enel, GE Oil&Gas, Johnson&Johnson, Ikea, Intesa Sanpaolo, Luxottica, McKinsey & Company, Microsoft, Standard&Poor’s, UniCredit e Vodafone – ha l’obiettivo di promuovere la diversità, il talento e la leadership femminile per la crescita delle aziende e del paese.
Anna Zattoni, direttore generale di Valore D, ritiene che la situazione dell’Italia è per certi versi ambivalente: “La buona notizia è che stiamo risalendo la china, la cattiva è che l’Italia si posiziona ancora molto indietro rispetto alla partecipazione delle donne alla vita economica e finanziaria (111° posto). Le donne italiane infatti si laureano più degli uomini, più rapidamente e con voti migliori da una parte, ma dall’altra fanno più fatica a emergere nel mondo del lavoro. Ancora oggi meno di una donna su due lavora (47%) contro il 65,4% di occupazione maschile (Istat 2015) e già nel primo anno guadagna in media il 14 % in meno di un collega. A cinque anni dalla laurea, il divario in termini di occupazione si riduce, ma il divario salariale sale al 18%. C’è quindi un enorme capitale, quelle femminile, ancora inespresso e inutilizzato. E l’Italia può ripartire immettendo questo capitale nel circolo economico”.
Quali strategie possono adottare le donne per pretendere un trattamento economico pari a quello maschile? “La parola pretendere mi piace poco, – continua Anna Zattoni – perché non si tratta tanto di rivendicare diritti, ma di liberare potenziale e cogliere opportunità. Liberare potenziale significa lavorare fin dall’infanzia per un’educazione libera da stereotipi di genere che consenta a ogni ragazza di scegliere in piena libertà i propri studi e le proprie ambizioni professionali. Per esempio, ancora oggi solo una ragazza su tre sceglie una laurea di tipo matematico o scientifico (solo il 23% degli iscritti nei corsi di laurea in ingegneria e il 38% nei corsi di area scientifica) a causa di condizionamenti culturali e di meccanismo di auto-esclusione. Ma quando lo fa, ottiene ottimi risultati, confermando che non si tratta di “predisposizioni” naturali. Con Valore D, alle donne delle aziende associate offriamo corsi di skill building mirati a sviluppare l’autostima, a trovare nuovi modelli di leadership, a imparare a fare rete , e molte altre competenze a sostegno della crescita del talento femminile. Inoltre con alcuni associati abbiamo sviluppato iniziative ad hoc per avvicinare le ragazze al mondo delle materie scientifiche e liberarle da pregiudizi sulle proprie capacità in questo campo, per farne emergere il talento. Dalla Nuvola Rosa con Microsoft alle Global ITC con Enel per avvicinare le ragazze al mondo ICT attraverso il racconto da parte di alcune protagoniste, esterne e interno al Gruppo, di storie di successo e di esempi concreti che evidenziano il ruolo essenziale e affascinante della tecnologia e dell’innovazione. Cogliere opportunità significa supportare le aziende nel gestire al meglio il proprio capitale femminile, nel dar loro esempi e strumenti per rendere la diversità di genere un fattore competitivo”.
Perché le donne finiscono a ricoprire soprattutto le posizioni impiegatizie: poca ambizione o troppi ostacoli? “Direi che le donne sono ancora poco ambiziose. E che i meccanismi di cooptazione fanno sì che si scelgano più facilmente i propri simili: quindi gli uomini più che ostacolare le donne preferiscono – spesso in maniera inconscia o non ragionata – promuovere altri uomini. La legge sulle “quote di genere” (120/2011) ha rappresentato in questo senso una forzatura necessaria: ora su tre membri di un CdA, una è una donna. Tuttavia le donne ricoprono prevalentemente cariche non esecutive: sono indipendenti nel 68,3% dei casi e rivestono il ruolo di amministratore delegato solo nel 2,6% dei casi. (Consob 2016) . Anche a livello direttivo e dirigenziale, il rapporto è sempre 1 a 3.Eppure dove c’è un aumento della presenza femminile, dove c’è una diversità di genere a livello apicale i risultati delle aziende migliorano anche in termini economici. L’ultima ricerca in proposito è del Peterson Institute for International Economics con EY: avere almeno il 30% delle donne in posizioni di leadership (in particolare la presenza femminile nella C-suite) può far aumentare fino al 6% il margine di profitto netto aziendale. Dalla ricerca è emerso anche un dato curioso: una maggiore percentuale di donne manager si registra soprattutto quando la coppia ha la possibilità di ricorrere al congedo di paternità. E’ dunque evidente che una più equa ripartizione dei carichi di cura e dei compiti domestici tra i partner gioca un ruolo cruciale nel permettere alle donne di crescere nel mondo del lavoro. La maggior presenza femminile nei Cda contribuisce a fornire un’immagine diversa del Paese, ma certamente il substrato del cambiamento deve essere più profondo. Oggi si sta formando una classe di giovani donne che si laurea prima e meglio rispetto ai loro colleghi. Dobbiamo però far sì che questa generazione non esca dal mondo del lavoro nel momento in cui costruisce una famiglia. Le aziende e il Paese non sarebbero così costretti a perdere talenti e risorse. Occorre lavorare sull’occupazione femminile nella parte del management e del middle management, dove l’emorragia di donne resta elevata. La parità esisterà il giorno che nessuno di noi si porrà più il tema, quando la nomina o mancata nomina di una donna non sarà in alcun modo una notizia o qualcosa che si nota. Ma fino ad allora, ogni misura che consentirà di cambiare la situazione avrà un’enorme importanza. Le proposte che offriamo con Valore D sono molto articolate: costruzione di competenze (Skill Building), incontri con “role model”, programmi di mentorship cross aziendali, networking. Oltre a tutto questo, Valore D si è impegnata da qualche anno nella formazione di donne leader, prima con il programma IN THE BOARDROOM e ora con THE CEO SCHOOL, The CEO School è un corso di alta formazione inaugurato il 20 aprile, per consentire a un numero sempre maggiore di donne di ricoprire incarichi esecutivi nei Consigli di Amministrazione”. (Tg.com)
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