Milano 1 Maggio – Già lo sappiamo: giornali e tg nelle prossime ore saranno pieni di entusiasmo per i dati sul lavoro. In apparenza tutto bene: cala la disoccupazione totale (11,4%), scende quella giovanile (36,7%). Anche gli inattivi sono in diminuzione (-36mila unità) Quindi possiamo parlare di calo reale dei senza lavoro. Il tasso di occupazione (cioè il numero degli italiani in età compresa 15-64 anni che ha un lavoro) è in aumento essendo arrivato al 56,7% a marzo (+0,2 rispetto a febbraio). E allora dov’è il problema? Il problema è in un altro dato che nessuno avrà molta voglia di raccontare ed è quello dell’inflazione che sta scendendo dello 0,4%.
Bisogna tenere ben presente questo elemento perché è la chiave che aiuta a capire quello che accade. La sintesi è questa. L’economia italiana sta un po’ rimbalzando dopo sette anni di vacche magre. Eravamo scesi talmente in basso che era inevitabile un miglioramento per effetto del ciclo. Una cosa normale: dopo avere rimandato a lungo le spese è chiaro che gli italiani che possono ancora farlo riprendono a consumare. Hanno cominciato l’anno scorso cambiando l’auto. Ora vanno avanti. Qualche vestito, la lavatrice, oggetti per la casa e via elencando. Le cose che erano invecchiate o si erano rotte ed era giunto il momento di sostituirle. Questo recupero ha determinato il miglioramento della produzione industriale, del Pil e si vede qualcosa anche sull’occupazione. Tuttavia il fenomeno è destinato a restare effimero. Siamo sempre nel campo dello zero virgola qualcosa. Un profilo piatto che dimostra una cosa sola: non scendiamo più ma non c’è la spinta alla crescita. Siamo cioè nella stagnazione di lungo periodo (qualcuno dice che sarà secolare) di cui tanto si parla. La prova delle cose che stiamo dicendo viene dall’inflazione il cui calo non conosce soste. Questo significa due cose. Innanzitutto il fallimento del bazooka di Draghi, che ha clamorosamente mancato la mira. In secondo luogo conferma la fragilità della ripresa. Se fosse davvero impetuosa i prezzi salirebbero. Invece procedono a rilento. Né può essere altrimenti: se l’inflazione ripartisse e i costi cominciassero a crescere quel poco di recupero che si vede si affloscerebbe. La produzione italiana diventerebbe di colpo meno competitiva. Insomma il classico gatto che gira in circolo per mordersi la coda. Se non si rompe la spirale non se ne esce.
Blog Ernesto Preatoni
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