Una favola che attraversa la realtà per dire che l’utopia è utile anche ai politici

Cultura e spettacolo

Milano 17 Maggio – Alessandro Beretta sul Corriere intervista la scrittrice Paola Mastrocola autrice del libro «L’anno che non caddero le foglie”, una favola che dall’immaginario attraversa la realtà, dedicata a chi ha la sensibilità del bambino, ma sa vivere nel presente. Una favola paradigma di tanti temi che l’uomo dibatte ogni giorno. Una favola per dire ai politici che un po’ di sana utopia fa bene.

Paola MastrocolaEcco l’intervista: “Un amore tra due foglie potrebbe cambiare il corso delle Natura. È quello che accade nell’ultima favola di Paola Mastrocola dal titolo «L’anno che non caddero le foglie» (Guanda Editore) in cui Lina, dal suo ramo di tiglio, si innamora del vicino Ippi che pende da un ippocastano. All’arrivo dell’autunno le due dovrebbero cascare, ma si oppongono ed è, per tutti gli alberi che le seguono, una rivoluzione dai risvolti curiosi perché il bene di alcuni va a svantaggio di altri. Da quel momento sono tante e brillanti le peripezie che animano il lavoro della scrittrice

Qual è stato lo spunto per la scrittura della favola?
«Da due anni ero ossessionata da un’immagine e dalla domanda: “Cosa accadrebbe se due foglie non cadessero?”. Un’immagine balzana cui non trovavo risposta, fino a che ne vidi due volare via insieme e allora capii: decidono di non cadere per amore. Parte da lì una riflessione sulla morte, su cui la favola è leggera, perché dal capriccio di quelle due tutte le altre foglie svelano che nessuna vuole cadere. Vorrebbero cambiare l’armonia universale, vincere la mortalità».

Arriva quindi prima l’immagine fantastica dell’intreccio dei temi?
«Sì, ed è così che in seguito ho intrecciato due storie d’amore, quello arrogante di Lina per Ippo e quello timido della scoiattola Squirri per il suo volpacchiotto che di solito spiava nascondendosi tra le foglie. Se queste non cadono, è tutto più difficile per lei».

Le foglie fanno un referendum per non cadere e questa è una bella occasione per raccontare ai giovani lettori la democrazia. È una scelta voluta o un caso?
«Ogni tanto mi lascio trasportare fuori dalla favola per fare incursioni nel nostro mondo e mi piaceva l’idea di una Natura che scimmiotta la società umana».

La favola è ancora uno strumento per attraversare il presente?
«Sì, perché la favola è un doppio salto mortale: sembra portarci via dalla realtà, quando invece ci riporta dentro di essa».

Le sue storie sono pensate più per gli adulti o per i piccoli?
«Per me non c’è molta differenza tra i due. I miei lettori adulti sono bravi perché accettano la sfida di essere adulti-bambini immaginando mondi inverosimili, mentre alcuni miei libri, come per esempio “Che animale sei”, arrivano nelle scuole e questo mi rende felice».

Quindi, in fondo, le sue favole sono un invito a indossare quei panni di adulto-bambino?
«Lo vorrei, mi piacerebbe molto, anche perché chi è troppo preso nel fare la persona seria e adulta mi fa paura, mentre invece sono convinta che non bisogna dimenticare l’infanzia e continuare a fare finta che le favole non contino. Anche i politici dovrebbero leggerle perché un occhio all’utopia, ogni tanto, non farebbe male».

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