Milano 1 Giugno – L’architetto Marcello Piacentini, descrivendo al Duce nel 1932 il progetto del Palazzo di giustizia milanese, usò questi termini: “grandioso e razionale, degno quindi della giustizia di Milano”.
La grandiosità che caratterizza l’architettura del Palazzo, deve, almeno a livello di subconscio, aver influenzato la maggior parte delle migliaia di magistrati che in quasi ottant’anni hanno popolato le sue austere stanze: l’idea far parte di qualcosa di importante, tipica dei magistrati milanesi, non ha infatti eguali in nessuna altra sede giudiziaria d’Italia.
Prestare servizio al Palazzo di giustizia di Milano è motivo di orgoglio per le toghe che, tranne casi particolari, difficilmente decidono di cambiare sede. Molti magistrati, anche alla settima valutazione di professionalità e che in altri posti avrebbero almeno un incarico semi direttivo, rinunciano a tale possibilità preferendo aspettare il proprio turno a Milano.
Il nuovo procuratore Francesco Greco, ad esempio, ha trascorso a Milano 37 anni della sua carriera professionale. Ma non era da meno il suo sfidante, Alberto Nobili, con 35 anni.
Le progressioni di carriera sono, nella maggior parte dei casi, all’interno dell’ufficio. Per rimanere in Procura, da più di trent’anni il capo è scelto fra un magistrato che ha ricoperto in precedenza l’incarico di aggiunto. Vedasi i vari Borrelli, D’Ambrosio, Minale e Bruti Liberati.
Ma questo riguarda anche altri uffici. Se si guardano alcune delle ultime nomine, si scopre che il Presidente del Tribunale Roberto Bichi era il vicario del presidente uscente, il Capo dei Gip Aurelio Barazzetta era il responsabile delle direttissime. E lo stesso sarà, sicuramente, per i prossimi incarichi da assegnare, come il Presidente del Tribunale di Sorveglianza o come le sezioni penali e civili del Tribunale ora scoperte.
Difficilmente c’è spazio, dunque, per “papi stranieri” a Milano, tipo Giovanni Melillo, capo di Gabinetto presso il Ministero della giustizia e, sulla carta, candidato forte. Su Melillo, ha detto il Presidente della Cassazione Giovanni Canzio, c’è stata “una sorta di pregiudiziale e malcelata diffidenza”. Nonostante “l’eccellente biografia professionale disancorata da lunga permanenza nel medesimo ufficio e contesto territoriale”. Di fatto un handicap che lo ha costretto al ritiro.
Oltre al senso di appartenenza, la nomina di Greco ha dimostrato, ancora una volta, il potere delle correnti in magistratura. Ha scritto Galli della Loggia sul Corriere: “curriculum e meriti contano, ma nella maggioranza dei casi non bastano. Ciò che fa la differenza nelle nomine è la corrente di appartenenza”. Ci sono voluti alcuni mesi per formalizzare la nomina di Greco, ma in realtà era tutto scritto: per i suoi colleghi del quarto piano, dopo l’uscita di Bruti Liberati, era lui il nuovo Procuratore. Bisognava però salvare la forma, ad esempio procedendo alle audizioni dei singoli candidati. In una mattina, otto: solo qualche decina di minuti a testa per scegliere il capo della Procura più importante d’Italia.
In molti hanno scritto che la nomina di Greco è il ritorno di Mani Pulite. Non si capisce allora il voto contrario da parte del togato Aldo Morgigni, fedelissimo di Piercamillo Davigo, ai tempi stretto collaboratore di Greco nel Pool e da ieri presidente di sezione in Cassazione. Dietro questo voto, gli addetti ai lavori vedono sempre una lotta fra correnti. E cioè una risposta a quanto accaduto all’ex aggiunto Alfredo Robledo, rimasto stritolato nello scontro con Bruti Liberati, con il quale all’epoca si era schierato proprio Greco, entrambi di Area. A differenza di Robledo e Morgigni, legati a Magistratura Indipendente. Ed a proposito di Robledo, il disciplinare del Csm ieri ha chiuso questa vicenda, trasferendolo d’ufficio, sempre come procuratore aggiunto, a Torino. Una doppia vittoria per Greco.
Nato a Roma, laureato in Giurisprudenza e Scienze Politiche,
ha ricoperto ruoli dirigenziali nella Pubblica Amministrazione.
Attualmente collabora con il Dipartimento Scienze Veterinarie e Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Milano. E’ autore di numerosi articoli in tema di diritto alimentare su riviste di settore. Partecipa alla realizzazione di seminari e tavole rotonde nell’ambito del One Health Approach. E’ giornalista pubblicista iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Lombardia.