Milano 13 Giugno – “Quel che accade oggi a Milano – secondo una celebre definizione di Gaetano Salvemini – domani succederà nel resto d’Italia”. Sia nel bene che nel male, si potrebbe aggiungere, con un pensiero retrospettivo alla tormentata storia nazionale. Ma soprattutto alludendo alla vocazione particolare della cultura politica cittadina: non tanto incubatrice di formule politiche, quanto piuttosto di movimenti e idee in grado di esprimere nuove esigenze. E infatti, elencando per sommi capi, vengono in mente la maggioranza silenziosa, l’alleanza laica, Comunione e Liberazione, il riformismo craxiano, la Lega, il berlusconismo…
Oggi l’attesa di una nuova stagione che si respira a Milano, benché ancora embrionale, è legata a una rigenerazione del polo liberale e popolare: l’occasione viene dall’alleanza elettorale che fa capo al candidato sindaco Stefano Parisi. Il quale si dichiara pronto a coglierla e rilanciarla: “Stiamo cercando di darle corpo. Mi sembra evidente come il centro-destra abbia bisogno di una profonda rigenerazione, e questa non può che avvenire sulla basa di una nuova, e vincente, esperienza amministrativa a Milano”.
I partiti del centrodestra qui ci sono, decisivi e compatti.
“E dunque, dobbiamo cogliere l’occasione storica. La presenza, fra i candidati nella Lista Civica, di personalità di diversa provenienza, testimonia non solo la ricchezza di storie personali indipendenti, ma anche il segnale della esistenza di sommovimenti profondi nella società”.
Di qui, secondo Lei, la necessità di coniugare esigenze di carattere generale e proposte concrete, in grado di cogliere sentimenti diffusi. Cominciando magari dal cavallo di battaglia liberale che prevede solo tasse “di scopo”, in cui sia ben chiaro dall’inizio il modo di utilizzare le risorse ottenute?
“In alcuni casi sì, questo è assolutamente giusto. Poi, è ovvio, esistono anche esigenze di contabilità generale. Ma in linea di massima le tasse devono essere di scopo: ad esempio quelle di soggiorno, o quelle legate alla occupazione del suolo pubblico”.
E arriviamo anche alla famosa e discussa Area C, che impone un pedaggio al traffico automobilistico.
“Va profondamente ripensata. Basti riflettere sul fatto che il gettito legato ai pedaggi oggi è inferiore a quello provocato dalle multe… Bisogna insomma dedicare i proventi a finanziamenti specifici che convincano i cittadini, e portino infine alla realizzazione di una grande opera condivisa”.
E’ realistico ispirarsi ai princìpi di democrazia diretta, come in Svizzera, con vari tipi di referendum e il diritto anche individuale di petizione rivolta all’amministrazione?
“La cosa importante sono i tempi certi e le responsabilità definite. E’ su questo che i cittadini sono poi chiamati a giudicare. Allo stesso tempo, però, la politica deve assumersi le sue responsabilità. Io dico sì ai comitati di cittadini, senza però abusare dei referendum. Certe decisioni all’inizio possono, magari, non essere comprese, salvo poi diventare popolari. Penso al grande progetto di trasformazione di Porta Nuova, che alla fine è stato ereditato dalla sinistra”.
Che ne pensa di un sportello del cittadino, in grado di venire incontro alle esigenze degli anziani, dei giovanissimi, dei soggetti più deboli non in grado di orientarsi di fronte a una grande varietà di scelte possibili?
“Sono d’accordo, ma uno sportello simile può anche essere virtuale…”.
E a chi obietta che le vecchie generazioni in genere non si trovano a loro agio con il computer?
“Rispondo: ci vogliono corsi di formazione degli anziani, sia sul piano materiale che informatico. Ma l’essenziale è che, dietro allo sportello, esista una amministrazione unica, e non segmentata in vari uffici. E poi, naturalmente, bisogna puntare in fretta alla trasformazione digitale del Comune”.
Un’altra istanza tipicamente liberale riguarda le aziende municipalizzate: non crede che il Comune debba mettere semplicemente i servizi a gara, limitandosi poi al controllo della loro efficienza?
“Il Comune deve favorire le attività dei privati quando esse si dimostrano più efficaci. Questo perché il privato opera nell’ambito del diritto civile, quindi il linea di massima si muove più liberamente: giusto garantirgli spazi adeguati. Si deve trovare allora una formula giusta ed equilibrata, tenendo sempre presente che la soluzione privata, nella misura in cui migliora la qualità ed efficienza dei servizi, è da preferire”.
Una delle eredità più pesanti della giunta Pisapia riguarda la mancata utilizzazione delle aree dismesse. A Milano si parla di circa tre milioni di metri quadri, quindi non solo della eredità dell’Expo.
“La nostra bussola in questo campo deve riguardare la rivitalizzazione di queste aree e la certezza del diritto per gli investitori. Penso ad aree con il giusto mix di verde e servizi. L’obiettivo è quello di coniugare la qualità delle vita per gli abitanti e la redditività per gli investitori. Un modello è quello che è stato realizzato nell’area delle ex Varesine e di Porta Nuova”.
Capitolo dolente: la cosiddetta “mala movida”, con le proteste degli abitanti di molte zone cittadine contro il divertimento selvaggio.
“In linea di principio ha ragione chi chiede più controllo, maggiore pulizia, un sistema più efficace di monitoraggio, in modo da rispettare i livelli consentiti di inquinamento acustico”.
E naturalmente, ci si aspetta che dopo il lungo sonno della cultura milanese, vissuta per troppi anni di eventi modesti, minori, si assista a uno spettacolare cambio di marcia…
“Il primo obiettivo deve essere la organizzazione di una città orientata al turismo culturale. Per i grandi eventi, cercheremo il contributo dei principali collezionisti culturali. E poi, si deve investire nella produzione di cultura contemporanea in tutti i campi: dal teatro alla danza, dalle conferenze alla cucina, alla moda, alla letteratura, all’arte, ai nuovi media… Diamoci tutti un grande traguardo: scoviamo i talenti nascosti, diamo loro l’occasione per dimostrare quanto valgono!”.
Dario Fertilio (L’Occidentale)
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