Il neo sindaco di Londra contro le pubblicità sessiste in metropolitana

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Milano 19 Giugno – Sfondo giallo fosforescente che cattura prepotentemente l’attenzione. Ancora di più lo fa la bionda che troneggia in mezzo: fisico scultoreo, con le curve sottolineate da uno strizzatissimo bikini. E la domanda a caratteri cubitali, “Hai un corpo pronto per la spiaggia?”. Questo è il poster pubblicitario di un’azienda di prodotti per l’allenamento (pillole, integratori, energizzanti etc.) che l’anno scorso è apparsa su muri del “Tubo”, la metro di Londra. L’immagine ha scatenato un polverone, soprattutto sulla “twittersfera”, la nuova pubblica piazza degli umori e malumori sociali. È stata definita sessista. Accusata di proporre un modello di bellezza irraggiungibile; un corpo così, è prerogativa solo di chi dell’apparenza fa il proprio mestiere, e ha tanti soldi e tempo giornalieri da dedicare esclusivamente alla forma fisica. Accusata di proporre un modello banale come unico fisico accettabile, quel “Bikini Body” per eccellenza inventato a tavolino dall’impero multimiliardario del Fitness per imporre un preciso standard sul mercato: nient’altro che un bisogno indotto, dal grande indotto economico. Un falso bisogno che viene stimolato proprio mortificando chi quel Corpo Perfetto non ce l’ha (cioè chiunque). E così all’inseguimento della “giusta forma fisica” alimenta tutto il sistema: spende soldi per palestre, spende per cibi particolari, spende per i manuali degli ultimi guru, spende e ancora spende. Perché è stata proprio questo singolo manifesto ad accendere i riflettori su un sistema sbagliato (“usare il corpo come oggetto che vende altri oggetti”), e non le tante altre? Per i modi, la domanda diretta, e soprattutto per il luogo in cui è stata affissa. Non su una rivista di moda, in televisione o in rete, ma in un luogo pubblico. Un messaggio obbligato neanche troppo subliminale, al quale è impossibile sottrarsi.

Le lamentele sono state tante e tali che la petizione lanciata dal sito change.org per rimuovere la pubblicità ha trovato migliaia di firmatari, così come tantissime le segnalazioni all’autorità per gli standard pubblicitari (400) e le iniziative spontanee di protesta. Il cartellone della discordia non c’è più. Se ancora oggi se ne parla è perché in merito si è espresso il neo sindaco di Londra Sadiq Khan, in prima linea come sindaco e come padre di figlie adolescenti. “Nessuno dovrebbe sentirsi sotto pressione mentre viaggia in metro o sul bus”, ha detto, “per colpa di rappresentazioni irrealistiche su quello che il corpo femminile dovrebbe essere. Voglio mandare un messaggio molto chiaro all’industria pubblicitaria”. Dunque da adesso la compagnia di trasporti londinese TfL- Transport for London dovrà vagliare attentamente i cartelloni pubblicitari, avendo cura di impedire l’affissione di immagini inadeguate.

Le reazioni come sempre si dividono: chi apprezza un forte intervento a freno della deregulation del mercato e della pubblicità, e chi grida alla censura. Probabilmente, la riflessione più opportuna è quella antichissima dell’uovo e della gallina: cosa viene prima? È la pubblicità che influenza i comportamenti, o la pubblicità è un riflesso della società in trasformazione e dei suoi consumi? Per rimanere al cartellone del Beach Body, sono queste “cattive immagini” a condizionare oppure si limitano a fotografare una condizione già ben radicata? La verità sta nel mezzo. Senz’altro il problema è grosso, e abbraccia tutto: è un problema sociale, culturale, del mercato. Più che le mobilitazioni femministe e non e polemiche sul corpo delle donne, bisognerebbe prestare attenzione a cosa c’è dietro davvero: i processi generali di standardizzazione, l’irrealtà, il condizionamento. Dovunque arrivi una soluzione, se dalle istituzioni, dall’industria, dai consumatori non è così importante. L’obiettivo è complicato da raggiungere, ma allo stesso tempo grandioso: l’orgoglio e il gusto dell’originalità.

Francesca del Boca

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