Milano 24 Giugno – Sta diventando virale su Facebook la testimonianza di un disabile milanese alle prese con i mezzi pubblici inaccessibili sostanzialmente a chi per muoversi deve usare una carrozzella. La testimonianza è pubblicata sulla pagina ‘Adotta una barriera e abbattila’. Il racconto è di Simone Gambirasio, giovane manager meneghino, utente abituale del trasporto pubblico, attento ai disservizi e alle barriere architettoniche che impediscono e rendono difficoltoso ai più di usufruire dei mezzi sia di superficie che sotterranei. Gambirasio descrive la sua “odissea quotidiana con ATM Milano” e che viene condivisa da centinaia di persone e inviata per protesta al servizio clienti dell’azienda del trasporto pubblico milanese (@atm_informa) sottoposto a un vero e proprio “mail bombing” da parte delle famiglie che condividono questo problema.
Tutto parte dal racconto apparso sul profilo di Gambirasio: “No ma adesso ve la racconto. Perché se no non ci credete. Prendo l’autobus arrivo a Porta Genova. L’autobus deve fermare lontano dal marciapiede e non si abbassa per pigrizia dell’autista che non schiaccia un pulsante: a momenti mi ammazzo per scendere. Non c’è uno scivolo sul marciapiede, faccio il gradino”, è la prima tappa di questa disavventura a puntate. Seconda tappa all’ingresso della metropolitana, linea verde: “Arrivo al campanello per chiamare il montascale a Porta Genova. Non rispondono. Dieci minuti. Non rispondono. Mando giù qualcuno. Scopro che c’è un disabile prima di me. Quindi devo aspettare che lui salga due montascale, due. Passano 20 minuti. Arriva il montascale. Scendo. Faccio i miei due montascale, altri 20 minuti. Vanno lenti, lentissimi, cigolano, ogni tanto si fermano da soli per tre secondi, per metterti caga. Intanto gli addetti chiamano a Cadorna per verificare che funzioni l’ascensore. Funziona, DICONO. Arrivo a Cadorna e sorpresa sorpresa: l’ascensore non va. È rotto da un’ora. Dicono. Peccato che io un’ora fa fossi ancora attaccato a un campanello per scendere in porta Genova, vi ricordo. Panico, come esco? “Torni sulla metro e scenda a Sant’Ambrogio che lì c’è l’ascensore” dicono.
Certo io devo andare a Cadorna non a Sant’Ambrogio ma mica ho alternative. Salgo sulla metro. Arrivo a Sant’Ambrogio. E mica c’è un ascensore. No. Ci sono DUE MONTASCALE. Mi attacco al campanello: rispondono seccati “cosa vuole?”. Urlo perché sì lì ho urlato. Partono i due montascale. Altri venti minuti. Esco alla luce. Ma non sono a Cadorna, ricordo, sono altrove. Prendo la 94. Dieci minuti di attesa. Sulla 94 c’è una mamma con il passeggino che mi chiede se posso prendere la corsa successiva. Ora voi non vorreste mai essere nei panni di quella mamma, vero? E avete pure ragione, fidatevi. Vinco
io, le faccio chiudere il passeggino. Sono sulla 94. Tra poco se Dio vorrà sarò a Cadorna. Prenderò un treno. Ne ho persi tre, probabilmente quattro”. Le conclusioni del passeggero portatore di disabilità sono sconsolate: “Ho un preventivo per un trasporto privato. Probabilmente costerà un quarto del mio stipendio. Probabilmente dovrei continuare a prendere i mezzi o vinceranno loro. Ma cosa dovrei fare dico io, cosa maledizione dovrei fare?”.
Zita Dazzi (Repubblica)
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