Milano 27 Giugno – Dice una ricerca promossa da un noto brand elvetico che i condòmini meneghini siano i più asociali d’Italia: 7 milanesi su 10 non parlano con i vicini di casa. Tengono la testa bassa se li incrociano e quando varcano il portone puntano dritto alla «casa-nido». Il 69% dei milanesi ammette di non aver alcun tipo di relazione coi propri vicini di casa e di aver difficoltà a relazionarsi. Cause principali sono la frenesia della routine quotidiana (per il 77%) e il poco tempo per socializzare (71%). Ma se primeggia nella Pinesola per scarsa diplomazia tra i vicini, la città della Madunina è però anche la capitale delle social street: 71 (erano 61 un anno fa) davanti a Bologna (57) e Roma (33), secondo gli studi che il Griss (gruppo di ricerca sulle social street) dell’Università Cattolica sta portando avanti da un anno e mezzo. Dati freschi freschi.
Ma cosa sono le social street? “Strade sociali 2.0 – precisa Cristina Pasqualini, ricercatrice in Sociologia dell’ateneo di largo Gemelli – nelle quali i vicini di casa decidono di entrare in relazione a partire dal virtuale: un gruppo Facebook intitolato alla via in cui si abita. Poi il fondatore, che in genere è l’amministratore, invita nel gruppo le persone che conosce che a loro volta invitano i loro amici che vivono in quella strada o vie limitrofe. Da lì si passa alla realtà, promuovendo incontri, aperitivi, visite per la città…”. “Vicini e connessi” è il nome che si è dato questo osservatorio “permanente informale” (totalmente autofinanziato, «come le social street») della Cattolica: tre ricercatori e uno staff di dottorandi e specializzandi che monitorano giorno dopo giorno tutte le realtà disseminate per Milano (e sul territorio nazionale).
Il Griss ha partecipato all’avviso pubblico “Laboratorio Metropolitano per la conoscenza pubblica su innovazione e inclusione” promosso dall’assessorato alle Politiche del lavoro del Comune, presentando i principali risultati dell’indagine in un paper che è stato selezionato e sarà pubblicato dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Tra i materiali prodotti anche una mappa della realtà milanese. “Nelle 71 social street sono iscritti 23mila singoli utenti – spiega Pasqualini – anche se non è detto che tutti partecipino effettivamente. Così come le social, solo 63 sono effettivamente in attività, 8 sono inattive o chiuse”. A guardare la diffusione, “in centro come in periferia ce ne sono meno – dice la studiosa – o sono inattive. La maggior parte si concentra al di fuori della prima cerchia e nelle zone 3, 4 e 6. Nel quartiere di Loreto, dalla fusione di tre realtà tra via Padova e Pasteur, è nato il NoLo Social District. NoLo sta per Nord Loreto”. Recentemente gli abitanti della zona sono scesi in strada per un brunch insieme. Tavolini sul marciapiede.
Infatti sulle “vie 2.0” i vicini di casa “si conoscono, iniziano a fidarsi gli uni degli altri – continua la ricercatrice – fanno qualcosa insieme e passano a uno stadio “virtuoso’’. Per esempio si scambiano i favori. Oppure organizzano eventi di solidarietà. La via 2.0 innalza il capitale sociale”. Per iscritti “virtuali”, “Paolo Sarpi – quartiere di Milano” è in testa (4.751 membri ieri alle ore 23), seguita dai “Residenti” di “San Gottardo, via Meda e dintorni” (3.800), “Lambrate” (2.433), “via Maiocchi” (1.371), “via Morgagni” (1.193) e “Abitanti intorno al Parco Solari” (1.116). “Sono le più vecchie e partecipate – osserva Cristina Pasqualini – ma anche altre in vie più piccole, come Martiri triestini (ndr 137 aderenti) non stanno mai ferme”. Ogni gruppo ha le sue regole. “In genere niente messaggi politici o promozioni commerciali. Tra gli utenti c’è qualche assessore ma non interviene mai. Le social street sono antenne sul territorio“.
E il Comune sta per esaudire una loro richiesta. “Dovrebbe licenziare a breve un regolamento per consentire ai gruppi l’utilizzo del suolo pubblico lasciandole alla loro natura di gruppi di partecipazione cittadina informali”. L’equipe della Cattolica è partita da interviste ai fondatori per passare all’analisi dei singoli gruppi Facebook (“ognuno rispecchia il suo fondatore”), alle interviste ai componenti per finire con le visite in loco e le osservazioni partecipate, per toccare con mano i quartieri dove il fenomeno ha preso piede. “Il metodo è stato condiviso con gli amministratori dei gruppi”. Curiosamente “l’Expo non ha impattato. Nei sei mesi della manifestazione se ne parlava poco tra gli utenti delle social street. Si pensa più al vivere quotidiano e locale”. Se la prima storica social street (prima in tutto il mondo) è nata a Bologna, in quel di via Fondazza (1.239 membri), ora la capitale è Milano. L’allievo ha superato il maestro.
Luca Salvi (Il Giorno)
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