Milano 29 Giugno – Un pezzo di periferia di Milano che puntualmente quando piove molto viene lasciato allagare per evitare che sott’acqua finisca un pezzo di centro città, solo 85 scarichi in regola sui 1.505 censiti lungo l’intero corso del Seveso, competenze frammentate fra sei diverse autorità pubbliche e più di vent’anni trascorsi da quando si è cominciato ad avere consapevolezza tecnica della necessità della costruzione di una vasca di raccolta anti-piena. È la fotografia scattata da una perizia di ingegneria idraulica in base alla quale la Procura di Milano, nel ricostruire le concause delle ultime tre delle 106 esondazioni del Seveso dal 1975, quelle del 2014, ha iscritto nel registro degli indagati per disastro colposo una decina di persone tra le quali il Governatore della Lombardia Roberto Maroni, il suo predecessore Roberto Formigoni e il sindaco uscente di Milano Giuliano Pisapia. Opere pubbliche indispensabili e un sistema di protezione civile adeguato a educare i cittadini delle aree interessate a difendersi avrebbero dunque potuto salvare Milano dalla rovina delle inondazioni, ma veti, competenze sovrapposte e anni di sterili discussioni non hanno portato a nulla. I fenomeni si sono progressivamente aggravati a causa dell’impermeabilizzazione forsennata del terreno dovuta alle costruzioni di strade, istallazioni industriali e abitazioni che senza alcun controllo scaricano nell’alveo del torrente una quantità d’acqua piovana sempre maggiore.
L’indagine, avviata dall’aggiunto Nicola Cerrato, ora in pensione, è diretta dal sostituto procuratore Maura Ripamonti con l’aggiunto Nunzia Gatto. Riguarda le tre inondazioni più gravi del 2014, quelle dovute alle forti piogge che ingrossarono il Seveso l’8 luglio, il 12 novembre, il 15 e il 16 novembre. Le cause? Una perizia depositata in Procura dal professor Luigi Natale, già ordinario di costruzioni idrauliche all’Università di Pavia, conclude che da decenni si sa quello che si deve fare ma nessuno lo fa. Tra schemi, grafici, calcoli e formule, in 129 pagine viene descritta e spiegata la situazione. Si parte dalle competenze incrociate e frammentate tra una selva di istituzioni di cui fanno parte Regione, Comune di Milano, Autorità di bacino del Po, Agenzia interregionale per il Po, Consorzio di bonifica Villoresi e Metropolitana milanese. Poi si elencano gli interventi, gli studi e i progetti che da secoli provano a mettere mano alla questione, ma è almeno da un ventennio che i tecnici concordano che la principale cosa da fare sarebbe la costruzione di vasche che a nord della città trattengano l’acqua delle piene impedendo che il Seveso esca dagli argini in caso di piogge abbondanti. Non sono la soluzione definitiva, perché non è possibile stabilire con certezza quanta acqua verrà giù ogni volta, ma di certo così si ridurrebbero rischi e danni. Quella di Senago, ritenuta altamente «prioritaria», ma osteggiata a livello locale, potrebbe essere la prima vasca a essere realizzata.
Il progetto definitivo è stato approvato nel 2014 e i lavori, finanziati con 30 milioni dal Comune di Milano, sono in corso. C’è poi il problema della parziale ostruzione del tratto «tombato» del Seveso, che scorre coperto nella zona Nord, e finisce nel naviglio della Martesana che a sua volta confluisce nel Redefossi, il canale che da nord a sud-est scorre interrato sotto la città ed è gestito dal Comune di Milano. Il professor Natale spiega che se lo si liberasse dai detriti facendo affluire più acqua, in caso di piena verrebbe inondato il centro della città perché il Redefossi, se non venisse ampliato, non reggerebbe. Lo sanno bene i tecnici i quali preferiscono, per «ragioni di convenienza», scrive il perito, che l’esondazione avvenga in periferia a Niguarda piuttosto che in centro nella zona di Piazza Cinque giornate dove farebbe danni enormi agli esercizi commerciali, agli edifici e alle strade.
Luigi Ferrarella (Corriere)
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