Milano 13 Luglio – Dopo anni di clamore mediatico e accese polemiche, il 5 luglio scorso la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva la proposta di legge che introduce all’interno del codice penale il reato di frode in procedimento penale e depistaggio. I sì sono stati 325, i no uno, gli astenuti 14.
Il provvedimento, come si ricorderà, è stato fortemente voluto da Paolo Bolognesi, deputato Pd e presidente dell’Associazione vittime della strage di Bologna. Il quale ha dichiarato: “come dimostrano migliaia di atti processuali, da piazza Fontana alle stragi del 1993 il nostro Paese ha pagato l’assenza di questo reato con l’impossibilità di definire, con sentenze, esecutori e mandanti di molti stragi. Eccidi tutt’oggi impuniti a causa dei depistaggi messi in atto da quegli apparati che hanno agito per impedire di arrivare alla verità giudiziaria. L’approvazione definitiva di questa proposta di legge rende giustizia alle vittime, ai loro familiari e salvaguardia il futuro di tutti i cittadini dal rischio di assistere a nuovi processi per strage, terrorismo, ed altri gravi reati, senza colpevoli”.
Vediamo, in dettaglio, cosa prevede la norma che sostituisce integralmente l’attuale art. 375 del codice penale.
Nella sua nuova formulazione, il delitto di frode in procedimento penale e depistaggio punisce con la reclusione da 3 a 8 anni – salvo che il fatto costituisca più grave reato – il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, con il fine di impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale: a) immuti artificiosamente il corpo del reato, lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone connessi al reato; b) richiesto dall’autorità giudiziaria o dalla polizia giudiziaria di fornire informazioni in un procedimento penale affermi il falso o neghi il vero ovvero taccia in tutto o in parte ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito.
Inoltre, è prevista una circostanza aggravante a effetto speciale (da un terzo alla metà) qualora il fatto sia commesso mediante distruzione, soppressione, occultamento, danneggiamento, in tutto o in parte, ovvero formazione o artificiosa alterazione, in tutto o in parte, di un documento o di un oggetto da impiegare come elemento di prova o comunque utile alla scoperta del reato o al suo accertamento e una circostanza aggravante autonoma (pena da sei a dodici anni) per i casi in cui la frode processuale e il depistaggio siano relativi a procedimenti penali per reati di particolare gravità. Sconto di pena, invece, per il “depistatore” che ripari alla condotta dannosa precedentemente messa in atto, adoperandosi per ripristinare lo stato dei luoghi, delle cose, delle persone o delle prove, nonché per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero aiuti concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto oggetto di inquinamento processuale e depistaggio e nell’individuazione degli autori.
Nelle intenzione del legislatore, dunque, il reato di depistaggio vuole essere un’arma in più nelle mani dei magistrati per colpire, principalmente, alcuni “apparati deviati” dello Stato che negli anni avrebbero provveduto ad insabbiare la verità. E la memoria va subito ad alcune delle pagine più buie del Paese, vedasi la strage alla stazione di Bologna, il Dc9 di Ustica, piazza della Loggia a Brescia, il treno Italicus, il Rapido 904, via dei Georgofili.
Ma, ed è forse questo l’aspetto più importante, la norma va ad incidere anche su casi di cronaca come le morti di Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva e Stefano Cucchi.
Certo è che questo nuovo reato sembra però, più che favorire la ricerca della verità, strizzare un occhio all’opinione pubblica, ultimamente molto condizionata da campagne mediatiche agguerrite quando si tratta di inasprire pene a scopo preventivo. Basti pensare, infatti, ai reati di femminicidio e di omicidio stradale.
Il codice penale, al netto delle strumentalizzazioni, già contemplava reati idonei a perseguire il cosiddetto “depistaggio”. Quello che mancava era la suggestiva indicazione del termine nella descrizione della condotta. Sotto l’aspetto mediatico “depistaggio” è indubbiamente meglio di “frode processuale”.
Nato a Roma, laureato in Giurisprudenza e Scienze Politiche,
ha ricoperto ruoli dirigenziali nella Pubblica Amministrazione.
Attualmente collabora con il Dipartimento Scienze Veterinarie e Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Milano. E’ autore di numerosi articoli in tema di diritto alimentare su riviste di settore. Partecipa alla realizzazione di seminari e tavole rotonde nell’ambito del One Health Approach. E’ giornalista pubblicista iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Lombardia.