Nelle brevi di cronaca, la vita di una Milano che cambia in dieci righe

Cultura e spettacolo

Milano 15 Luglio – C’erano una volta, e ci sono ancora, nei giornali le «notizie in breve». Quelle che girano attorno a una decina di righe. (D’altra parte che cos’è un tweet se non una notizia in breve?). Le notizie in breve hanno un’anima particolare. Un titolo piccolo che te lo devi andare a cercare. E un testo corto che te lo leggi in un respiro. Eppure raccontano, a volte, storie più profonde, significative e rivelatrici di tante «articolesse» (quelle lunghe).

Tuonavano i potenti capo-cronisti, rivolgendosi ai giovani giornalisti che malvolentieri subivano l’incarico di scrivere una o più «brevi»: «Ascolta me, ragazzo. Ma lo sai che in dieci righe si può raccontare tutto, anche la Divina Commedia?». Il ragazzo capiva, scriveva la sua «breve», e imparava il mestiere.

Così è capitato a Claudio Colombo, giornalista che al «Corriere della Sera» lavora da 32 anni. Ne ha fatte di brevi e ne ha fatta di strada. Ora ha messo insieme un libro di quelli che si possono definire «una chicca», intitolatoMilano in breve (Meravigli edizioni). Ha messo il naso nell’archivio storico del «Corriere», che è lungo centoquarant’anni. E ne ha tirato fuori cinquecento notizie «in breve». Tutte riguardano Milano.

Colombo è persona coerente. E quindi anche dell’introduzione al suo lavoro ne fa una «breve»: poche parole per spiegare che «le notizie di giornata condensate in poche righe raccontano i fatti minori accaduti in città, minori ma non per questo meno interessanti… cambiano i tempi, ma le «brevi» continuano a essere lo specchio della città e dei suoi quartieri: raccontano l’evoluzione non soltanto di costumi, riti, usanze, ma anche di linguaggio e sensibilità».

E comincia il suo lungo viaggio di brevi percorsi con la prima notiziola apparsa nel primo numero del «Corriere». Titolo: Il prezzo del silenzio. Data: 5-6 marzo 1876. Luogo: un prato denominato La Cazzola fuori di Porta Vittoria. Si racconta di un duello, dopo un veglione alla Scala, «una partita d’onore, tra il nobile R.M. e il conte C.D. I padrini vi assistevano ancora in abito da ballo. Il signor M. riportava una leggera ferita al braccio. Quattro contadini erano accorsi per impedire il duello, ma si affrettarono ad allontanarsi dietro l’invito ricevuto da uno dei padrini, invito che era accompagnato, ben inteso, dall’offerta di un paio di scudi».

Il pellegrinaggio di Colombo finisce centoquarant’anni dopo con: Occupy Statale, condannati. «Sono stati condannati con pene fino a quattro anni per resistenza a pubblico ufficiale cinque giovani antagonisti che nell’ottobre 2010, in una manifestazione contro la riforma Gelmini, diedero vita a una serie di disordini all’interno della Statale e poi fuori».

In mezzo ci sono altre 498 storie divise in tre categorie: Fatti, Misfatti, Passioni.
S’incontrano: il sonnambulo in mutande che s’aggira con un misterioso secchio in mano (1876); il cocchiere dell’omnibus che usa sconce parole anche in presenza di pie signore (1877); il parroco di Cambiago che non molla l’incarico e la grossa prebenda che gli spetta nonostante lo sciopero a oltranza dei fedeli che provano per lui un odio accanito (1882); Cocò, la scimmia vanitosa che, entrata nella camera di una bella cameriera, fece una completa toeletta, lavandosi, pettinandosi e incipriandosi (1895); i manifesti per far sapere che tutto quello che di buono e di bello è avvenuto nel secolo XIX è avvenuto per merito esclusivo della massoneria (1901); i cammelli che saranno adibiti al servizio di trasporto e, perché la messa in scena sia più allettante, saranno accuditi da due autentici negri del Fezzan (1929).

Ed ecco comparire (1966) i «capelloni» riuniti a congresso davanti al Castello Sforzesco, un’adunata che ha avuto il suo slogan nella «libertà di capello»; il maggior successo lo hanno avuto due giovani pettinati con l’onda sull’occhio alla maniera di Veronica Lake.

Esilarante e triste, surreale e specchio dei tempi, moralista e malizioso, il libro di Colombo si aggira nel labirinto del come eravamo fino ad arrivare al come siamo, senza la pretesa di trovare alla fine la via d’uscita dall’ingorgo della vita quotidiana. E sempre c’è Milano. La città buona e anche quella dove si esibisce il primo serial killer italiano. Quella dei pacifici Navigli e dei duri scontri sociali. Dell’orgoglio per l’avveniristica metropolitana e dell’imbarbarimento delle periferie. Degli anziani che fanno notizia perché si rompono una gamba per via della buca sul marciapiede o perché cadono dopo uno scippo.

Ovviamente c’è anche, di striscio, la politica. Leggere per credere: pagina 128, titolo Viva Lenin, luogo gli scali ferroviari, protagonisti vigilanti carabinieri e spiombatori sovversivi, arma usata mitraglia. Obbiettivo degli spari: un tatuaggio di Lenin sul petto. La «notizia in breve» spiega tutto, anche come Lenin scampò alla morte.

Francesco Cevasco (Corriere)

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