Milano 17 Luglio – Quarant’anni fa Anna bello sguardo e Marco lupo di periferia non erano ancora nati, musicalmente parlando. Bisognerà aspettare il 1979, e uno degli album più belli di Lucio Dalla, per vederli “ballare in un locale che è uno schifo” e poi “tornare tenendosi per mano”. Nel 1976 sono un’altra Anna e un altro Marco a fare breccia nei nostri cuori squarciando l’etere grazie alle prime radio libere. Lei ha diciott’anni e si sente sempre sola, lui di dischi fa la collezione e conosce a memoria ogni nuova formazione. Sono i protagonisti di “Musica ribelle”, il brano simbolo di “Sugo”, con cui Eugenio Finardi, qui al secondo album, s’incarica di innestare un’anima rock al cantautorato italiano fin troppo “sbilanciato” sui testi. E’ un disco che spakka, si direbbe oggi, mentre allora la k era l’iniziale di Kossiga, il nome del ministro dell’Interno così come veniva scritto sui muri, con tanto di doppia “s” in evidenza.
A metà anni 70 Milano non è da bere: si spara e si spranga, sono anni di piombo. Ma c’è anche il fermento creativo della Cramps di Gianni Sassi, versione meneghina della Factory warholiana. Finardi, sangue americano nelle vene grazie alla madre soprano, ha le antenne dritte: reduce con l’amico Alberto Camerini dall’isola di Wight (come spettatore, eh), presenza fissa al Festival di Re Nudo al Parco Lambro, cattura queste vibrazioni e le mette su disco grazie anche agli Area, suoi compagni d’etichetta. E se “Musica ribelle” diventa la colonna sonora di una generazione, “La radio” è l’inno nazionale delle emittenti che stanno nascendo in tutta Italia (e ci piace ricordare che “Radio Parma” è stata la prima) senza immaginare che un giorno anziché “libere” si sarebbero chiamate “private”. Del resto, chi è stato giovane e ha indossato un eskimo negli anni ’70 lo sa: i sogni infranti sono stati molto più numerosi di quelli realizzati, e a essersi scottati le ali sono stati in tanti. Ma allora tutti avevano “imparato a volare”. (Gazzetta di Parma)
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