QUANDO LA GIUSTIZIA È A SENSO UNICO, MA SBAGLIA

Attualità

Milano 28 Maggio – Entrare in contatto, anche per qualche ora, con cittadini di origine calabrese può essere molto pericoloso. Il rischio di essere coinvolti in una indagine per mafia è dietro l’angolo. Soprattutto se si è iscritti a Forza Italia e ci si candida in Emilia Romagna, il nuovo Eldorado dell’ndragheta secondo la recente vulgata dei teorici dell’antimafia in servizio permanente effettivo.

E’ quello che è successo agli azzurri Giovanni Paolo Bernini, ex assessore al comune di Parma e a Giuseppe Pagliani, consigliere comunale a Reggio Emilia, entrambi coinvolti nella maxinchiesta “Aemilia” sulle infiltrazione della ‘ndrangheta in Emilia Romagna che ha visto la  Procura Distrettuale Antimafia di Bologna, dopo anni d’indagine, arrestare lo scorso gennaio 117 persone.

L’inchiesta, definita “storica” dal Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti, ipotizzava il classico dei sodalizi criminali: ‘ndranghetisti, politici, imprenditori, tutti legati fra loro dal vincolo associativo mafioso. I reati? estorsione, usura, porto e detenzione illegale di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di capitali illecita provenienza, emissione di fatture per operazioni inesistenti ed altro.

L’indagine travolge anche il sindaco uscente di Mantova Nicola Sodano, sempre di Forza Italia, che a pochi mesi dalle elezioni decide di ricandidarsi.

La conferenza stampa del 28 gennaio, giorno della maxi retata, è da manuale: foto delle grandi occasioni, intercettazioni diffuse a piene mani, interviste a nastro degli inquirenti che parlano di “imponente e decisivo contrasto giudiziario alla mafia del Nord”. Il procuratore Roberti arriva a dichiarare: “Non ricordo a memoria un intervento di questo tipo per il contrasto a un’organizzazione criminale forte e monolitica profondamente infiltrata”.

Qualcosa, però, in questa inchiesta “imponente e decisiva”, a detta degli inquirenti seconda solo alle mitologiche inchieste “Infinito” in Lombardia, “Minotauro” in Piemonte e “Maglio” in Liguria, dopo gli iniziali fuochi pirici mediatico-giudiziari, sembra esserci inceppato.

Il mese scorso, infatti, il Tribunale del Riesame di Bologna aveva scarcerato Giuseppe Pagliani, colpevole di aver partecipato ad un incontro pubblico con alcuni imprenditori fra i quali erano mescolati, a sua insaputa, appartenenti alla ‘ndrangheta. Per la Procura questo era  più che sufficiente per ipotizzare il concorso esterno in associazione mafiosa e quindi il gabbio. Stroncando il teorema della procura, il Riesame, liberando Pagliani, aveva invece scritto che “non possono giudicarsi acquisiti gravi indizi di colpevolezza” .

Ieri sono state depositate le motivazioni, sempre del Riesame di Bologna, con cui è stato respinto l’appello della Procura antimafia che aveva impugnato il rigetto del gip all’arresto per Bernini.

Ma di cosa era accusato Bernini? Siamo nel 2007 alla vigilia delle elezioni amministrative che vedranno la vittoria del centro destra a Parma e, secondo le accuse, il clan capeggiato da Romolo Villirillo e legato alla cosca di Nicola Grande Aracri di Cutro si sarebbe attivato per fare votare Bernini in cambio di denaro. Si parla di 200-300 voti in cambio di 50.000 euro. Una parte di questi soldi pare, addirittura, giunta a Villirillo con un bonifico bancario. E poi la solita promessa di appalti una volta eletto.

Scrive il Riesame: “Non è emerso che la promessa di procurare voti sia stata fatta con l’impiego di modalità intimidatorie proprie dei contesti di criminalità organizzata”.  E ancora: “Non può stimarsi acquisito un quadro di gravità indiziaria sufficientemente grave in ordine al fatto che il patto prevedesse anche la possibilità di partecipare ad appalti indetti dal comune in posizione privilegiata”. Non essendoci, poi, nella valanga di intercettazioni nessuna comunicazione diretta con Bernini, gli associati “potrebbero aver millantato contatti che in realtà non c’erano”.

Per la cronaca, anche l’allora Sindaco di Reggio Emilia ed attuale Ministro alle Infrastrutture, il renziano di ferro Graziano Del Rio, frequentava assiduamente la comunità cutrese.  Specialmente sotto le elezioni:  qualche settimana prima di essere rieletto Sindaco si recò addirittura nella cittadina calabrese per la processione del Santo Crocefisso.

Ai pm, che in questa vicenda non l’hanno mai indagato, alla domanda se sapesse “che tutta la criminalità organizzata proveniente da Cutro si ispirava al boss Nicola Grande Aracri” rispose tranchant: “Non sapevo che era originario di Cutro. Sapevo solo che era calabrese”.