Milano 23 Luglio – Sabato 16 luglio tutti i principali quotidiani hanno riportato la grave e definitiva notizia: Marco, il bambino rimasto in coma dopo un gravissimo incidente al Racing Park di Viadana, non ce l’ha fatta. Pochi giorni prima si trovava in sella a una minimoto e ne ha perso il controllo. È successo dopo la fine delle lezioni, regalo per il suo sesto compleanno, mentre riportava la moto ai box: fatale un gesto del padre, che ha riacceso la motoretta. Tragedia nazionale e soprattutto personale -di due genitori che hanno perso un figlio e di un padre che lo ha visto morire. Ma i due piani si confondono, e il primo sovrasta prepotentemente il secondo: impazza la polemica contro il padre a tal punto che la questione si trasforma. Diventa un caso di “malagenitorialità” che scandalizza la pubblica opinione. In Rete tantissimi si scagliano contro l’adulto colpevole. Colpevole di aver permesso a un bambino di soli sei anni di competere con un mezzo così pericoloso, o addirittura di averlo fatto gareggiare per riparare frustrazioni profonde: l’imposizione di proprie passioni e predilezioni a una creatura plasmabile, il primitivo desiderio di un figlio campione.
In casi come questi ognuno si sente di dire la propria e individuare la falla nel sistema, il motivo cioè per cui qualcosa è andato storto. Dal di fuori si può osservare tutta la dinamica e scoprirne il punto debole. Infatti qui è andata proprio così: davanti a un fenomeno così disturbante e innaturale come la morte violenta di un bambino, la prima reazione dopo lo sconvolgimento è quella di cercare il colpevole e accanirvisi contro. Sprezzanti di tutte le sfumature di cui purtroppo si compone la fatalità: disattenzione, coincidenze sfortunate, tempismo sbagliato. Non certo destino infausto, ma spesso nemmeno colpe vere e proprie: sbavature della vita, falle nel Sistema per eccellenza. La storia del padre di Marco ha componenti in cui tutti possiamo riconoscerci: gesti inconsulti, buona fede, piccole aspirazioni. L’imprevedibilità delle cose crea la combinazione sventurata.
È proprio non accettare ciò che ci spaventa, e di conseguenza ci rende così aspri nella critica; il web poi, si sa, amplifica e dà sfogo. Cerchiamo allora, davanti a questi fatti di cronaca che per la loro crudezza saltano all’attenzione nazionale, di distinguere sempre tra responsabilità e fatalità. Aspettiamo a lanciarci al linciaggio: non sempre esiste un colpevole. A volte, la risposta è che non c’è una risposta.
Francesca del Boca
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