Milano 16 Agosto – Largo Crocetta. Un’insegna un po’ rétro campeggia sopra la vetrina semplice: Tipografia Pezzini. Si apre la porta. Un salto indietro nel tempo di oltre mezzo secolo. Al bancone Simone Pezzini, uno degli ultimi tipografi in città (assieme agli storici Raimondi, Pettinaroli e pochi altri), l’unico laboratorio del centro che ancora segue il metodo tradizionale di stampa meccanica. Inchiostri, carte pregiate, caratteri mobili. «Niente digitale — racconta —. Ho fatto questa scelta controcorrente». Pezzini ha 39 anni. Papà tipografo, studi alla Rizzoli, alla fine degli anni 90 ha rilevato il negozio che ora gestisce con la moglie. Ma la tipografia ha aperto nel 1956, 60 anni fa. Da allora non è cambiata una virgola. Due cose attirano i curiosi oltre la soglia: il cane Ettore, bracco italiano, e la pedalina Saroglia, risalente agli inizi del ‘900 ma ancora funzionante. Il cuore del negozio però è al piano inferiore. Pezzini accompagna i clienti per una visita e racconta le difficoltà degli inizi. «Tutti erano perplessi per la mia decisione — spiega —. Una tipografia tradizionale, proprio quando il digitale stava prendendo piede. Erano in molti a pensare che avrei dovuto abbassare presto la saracinesca. E invece…». Invece i clienti sono numerosi, e a fine mese i conti tornano.
In mezzo alle due Heidelberg Stella che sfornano tutta la produzione, Pezzini fa l’identikit di chi bussa alla sua porta. «Si rivolgono a noi privati che amano prodotti fatti con cura». Partecipazioni di nozze, carte intestate, ricettari medici, ex libris. «Abbiamo tante richieste da giovani — spiega Pezzini — che vengono da noi perché i loro genitori avevano già stampato in questa tipografia e vogliono continuare la tradizione». La rinuncia al digitale non vuol dire un rifiuto in toto di tutte le nuove tecnologie. «Ovviamente abbiamo un sito Internet e dei profili sui social network — specifica l’artigiano —. Sono una vetrina importante. Riceviamo prenotazioni via Web». Ma la maggior parte dei clienti preferisce toccare con mano quello che compra. Nel suo laboratorio, Pezzini racconta ai neofiti come nasce una pagina stampata. I caratteri in piombo, pescati dai vari cassetti, vengono messi in fila nel compositoio. In alternativa, vengono fusi in righe di testo mediante matrici per la composizione in Linotype. Segue inchiostratura e impressione su carta.
«Usiamo anche cliché (lastre di zinco che riportano una figura in rilievo, ndr) che possiamo creare ad hoc» spiega. E così nascono le stampe in letterpress, effettuate con una pressione maggiore, lasciando un segno rilevabile al tatto. «Per questo tipo di lavoro, usiamo carte molto morbide, o anche la carta fatta a mano». Già, altro capitolo a sé, quello delle carte. Si potrebbe fare una mappa: le tedesche, prodotte con il cotone. Oppure le italiane, dei piccoli laboratori artigiani che resistono in Toscana, a Venezia o Amalfi. «Sono di pesi diversi. Si va dai 400 ai 950 grammi». Quasi cartongesso. È tutto un altro lavoro. Anche nei tempi di attesa. Per delle partecipazioni, si va dai 20 giorni al mese. Poco più di una settimana per i biglietti da visita. «Il difficile sta proprio nell’avere pazienza — spiega Pezzini —, serve precisione». L’errore è sempre in agguato. Beffa del destino, i tranelli più insidiosi vengono dal digitale. In particolare, dagli indirizzi email, con punti e trattini alti e bassi. La pazienza è necessaria anche con i clienti. «È capitato di stampare per tre volte le partecipazioni per una coppia — ricorda —. Continuavano a spostare la data di nozze. È un lavoro che deve piacere, lo fai anche per te, oltre che per chi compra». Per le 60 candeline della tipografia ci vuole una festa. Ancora tutta da pensare. Gli inviti su carta pregiata non mancheranno.
Sara Bettoni (Corriere)
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