Caro Signor Peretti,
leggo, oggi, su Repubblica , che lei ha deciso di non far fare i compiti estivi a suo figlio. E che se ne vanta. L’ho trovata molto interessante ed ho deciso di scriverle. Partiamo dal principio che non mi aspetto che a lei importi qualcosa della mia opinione. Ma siccome temo che la sua interessi al pubblico, vorrei circoscrivere, nel mio piccolo, i danni. Seconda premessa: lei ha il sacrosanto diritto di educare suo figlio come ritiene opportuno. A patto che, dopo, risparmi a tutti noi le scuse idiote dei genitori i cui figli non crescono come sperato. Uscire dalla via tracciata dalla società è naturalmente eccitante, ma attira su di lei enormi e tremende responsabilità. Ultima cosa, prima di iniziare: se vivessimo in un paese libero lei potrebbe mandare suo figlio in una scuola con gente che la pensa come lei. Purtroppo, non viviamo in un paese libero. Per questo, vieppiù, mi sento in dovere di intervenire perché il contagio si arresti. Scusi le lungaggini.
Partiamo da quello che dice lei. Ad un certo punto afferma che non conosce alcun uomo di successo che si porti il lavoro in vacanza. Non posso che concordare. Con un piccolo, piccolissimo caveat. Quegli uomini, prima del successo, non portavano il lavoro in vacanza perché non sapevano cosa fossero le vacanze. Le vacanze, all’estero, dove i compiti per l’estate non sono così diffuse, sono passate lavorando. Prima di lavorare, però, si studia. Quindi, il suo ragionamento ha una falla. Prima del successo, prima di meritarsi le vacanze, viene il duro, durissimo lavoro. Proteggere suo figlio dal lavoro, fargli credere che l’estate possa passare tra gite ed hobby è una crudele illusione. Un giorno, quando se lo sarà guadagnato, potrà essere vero. Ma suo figlio, più vicino alla mia generazione che alla sua, scoprirà presto che ormai solo gli uscieri ai ministeri hanno vacanze prive di pensieri. Sempre esistano ancora, quando crescerà.
Ha, comunque, ragione quando dice che gli insegnanti fanno tre mesi di ferie, mentre suo figlio no. O meglio, mi consenta, ne fanno uno solo. Formalmente. In ogni caso, se avesse ragione lei, l’obiezione le si ritorcerebbe contro. Se loro sbagliano, perché consentire l’errore anche a suo figlio? Siamo onesti, lei sta facendo un danno a suo figlio. Gli sta nascondendo il lato oscuro, difficile, noioso e frustrante della vita. Lo sta allevando a scappare dal dovere. Lo sta spronando a fuggire dal dolore. Purtroppo il dovere ci sfama, nel mondo reale. Ed il dolore ci troverà, prima o poi. I miei genitori, Dio li benedica entrambi, mi hanno preparato. E gliene sarò sempre grato. Temo suo figlio non potrà dire lo stesso, arrivato alla mia età.
Cordialmente.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,