Milano 18 Settembre – Tarda serata dell’8 settembre, pochi minuti dopo le 23. Gli ispettori dell’Aler e i carabinieri sono in un corridoio male illuminato, davanti alla porta sfondata di una casa popolare in via Lorenteggio. Entrano. Trovano due donne, bosniache, entrambe incinte; hanno appena occupato l’alloggio. I carabinieri spiegano loro che devono allontanarsi, che verranno denunciate. Gli ispettori Aler chiamano gli assistenti sociali del Comune: «Abbiamo due donne in gravidanza. Se lasciano la casa, avete posto per sistemarle?». «No, purtroppo no». La mattina dopo, gli ispettori tornano nella stessa casa, stavolta con la polizia. Le donne si rifiutano di uscire, posti per l’emergenza sociale non ce ne sono. Lo sgombero «in flagranza» si blocca. È una nuova occupazione che si consolida. La stessa scena, tra agosto e l’inizio di settembre, s’è ripetuta quasi ogni giorno. Sono i primi segnali di una nuova crisi, iniziata in estate: senza sistemazioni di emergenza per accogliere donne incinte o con bambini, si indebolisce il contrasto delle occupazioni abusive. Le statistiche dell’Aler fotografano la situazione: 95 nuove occupazioni abusive, in tutto, tra gennaio e giugno del 2016; 71 in soli due mesi e qualche giorno, tra luglio e il 12 settembre.
Il protocollo
Il 18 novembre 2014, nel pieno dell’emergenza casa (quasi mille nuove occupazioni in un anno), Comune, Aler e Regione firmarono davanti all’allora prefetto Francesco Paolo Tronca un protocollo di contrasto all’abusivismo. Ruotava intorno a un principio chiave: cercare di interrompere le nuove occupazioni, fermare l’«emorragia» di alloggi che finiscono agli occupanti abusivi, per poi riportare la legalità occupandosi delle occupazioni «storiche». L’aspetto operativo era fondamentale. I gruppi della criminalità di quartiere ricorrono spesso a donne in gravidanza, o con figli piccoli, per evitare gli sgomberi «in flagranza», entro le prime 48 ore dall’occupazione. Dunque, all’epoca, il Comune prese questo impegno firmando il protocollo di fronte alle altre istituzioni: dato che evitare le nuove occupazioni era (e resta) prioritario, ma che allo stesso tempo non si potevano lasciare donne incinte e bambini in strada, Palazzo Marino avrebbe assicurato le presenza di assistenti sociali durante gli interventi con le forze dell’ordine e garantito «immediate soluzioni di accoglienza in emergenza temporanea» (24 ore su 24). Ecco, da questa estate, quei posti di accoglienza non ci sono più. Per questo gli sgomberi «in flagranza» stanno diventando sempre più complicati. E le occupazioni aumentano.
Il blocco
Il 19 agosto scorso il Comune scrive all’attuale prefetto, Alessandro Marangoni, spiegando che «i centri di emergenza sociale del Comune di Milano sono saturi». La disponibilità a proseguire nel piano sgomberi è legata dunque al fatto «che Aler individui gli spazi dove allocare le famiglie e solo per allontanamenti in flagranza di reato» (la richiesta contraddice gli impegni del protocollo). Le reti criminali che gestiscono le occupazioni abusive nei quartieri non conoscono le comunicazioni ufficiali, ma da qualche settimana alcuni ispettori si sono sentiti dire: «Tanto non avete posti, da questa casa non usciamo». I mancati sgomberi da alloggi Aler per i quali è stata «certificata» come motivazione la mancanza di sistemazioni alternative sono oltre 20 nell’ultimo mese. È accaduto, ad esempio, in via Ricciarelli il 25 agosto: primo intervento di ispettori e polizia alle 2.30 della notte, secondo intervento alle 11 del mattino, nessun posto nei centri d’emergenza, occupazione «riuscita». La stessa scena s’è ripetuta in via Bolla, piazza Selinunte, via Mompiani, via Zamagna, via Tracia, via Abbiati, via Preneste. Dal Giambellino, a San Siro e al Corvetto. Spiega l’assessore comunale alla Sicurezza, Carmela Rozza: «Non intendiamo fare un passo indietro sull’affermazione della legalità e intendiamo continuare a svolgere a pieno il nostro ruolo sociale, ma chiediamo che Aler faccia la propria parte e metta a disposizione degli spazi, anche perché la Regione continua a lasciare in totale abbandono, con moltissimi alloggi vuoti, i propri quartieri».
L’«emorragia»
Aler possiede (e gestisce) circa 38 mila alloggi tra Milano e Provincia. Quelli occupati sono poco più di 3.200. Oggi la quota di nuove occupazioni sventate «in flagranza» è salita intorno all’80 per cento, il doppio rispetto al 2013-2014. Ma il numero di alloggi «persi» ogni mese è, se pur di poco, comunque superiore rispetto a quelli recuperati con gli sgomberi di occupazioni «storiche». Ecco perché il blocco dell’estate preoccupa molto istituzioni e forze dell’ordine: la massa delle nuove occupazioni era stata fermata, ora invece la tendenza sta peggiorando. Niente a che vedere con i livelli di due anni fa, ma segnali a cui viene dedicata la massima attenzione, dato che si va verso i mesi più critici (autunno e inverno) per l’emergenza casa. Da fine 2014 Palazzo Marino ha affidato alla Metropolitana milanese la gestione delle proprie 28 mila case popolari. Qui la situazione è diversa. Il Comune, attraverso Mm, ha fornito al Corriere soltanto dati parziali. Nel mese di agosto 2016 nelle case gestite da Mm sono stati fatti 25 sgomberi «in flagranza», con tentativi comunque in calo rispetto ai 37 di agosto 2015: in entrambi i casi non ci sono state nuove occupazioni. Gli sgomberi in flagranza sono stati più di 180 tra gennaio e agosto 2016: Mm ha una percentuale di «recupero» degli alloggi entro le prime 48 ore sopra il 95 per cento (787 occupazione sventate contro le 797 totali nel 2015). Il Comune spiega anche di aver assicurato la prima assistenza a circa 1.500 persone sgomberate da case popolari negli ultimi due anni e mezzo, di cui 630 bambini e minori.
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