Milano 26 Settembre – Milano è così: il bello non te lo sbatte in faccia. Questione di sobrietà e di eleganza vera, quella che non si ostenta. Milano che è chiusa solo per chi non vuole vedere al di là delle porte. La città che ha fatto delle relazioni umane un marchio di fabbrica. Teatro della prossima tappa de «Il bello dell’Italia», il 29 settembre all’Unicredit Pavilion in piazza Gae Aulenti: «Non siamo soli» per raccontare le tante facce del welfare ambrosiano, con le voci di venti personalità o associazioni che hanno fatto grande la solidarietà e l’hanno declinata come pochi. Un confronto con le istituzioni, Stato (Luigi Bobba), Regione (Roberto Maroni), Comune (Giuseppe Sala) per capire se Milano davvero, possa essere modello per il Paese: l’epicentro della solidarietà, del volontariato. Qui coeur in man non è soltanto un modo di dire un po’ antico. Basta scorrere l’elenco delle associazioni che si occupano degli altri. E di chi ci ruota intorno. Un numero che sa di guinness dei primati. Si aiutano gli altri perché sono malati, poveri o disabili. E verrebbe da dire, perché «si deve». Ma solidarietà non è solo assistenzialismo. Sono anche passioni per lo sport o i diritti, o l’amore per il proprio quartiere.
Un dna che viene da lontano. Dai tempi oscuri che, magari altrove, dovevi arrangiarti e a Milano c’era già chi pensava a quelli che restavano indietro. All’inizio sono i religiosi a farsi carico delle sofferenze. Le prime confraternite e gli oratori. I lazzaretti per dare dignità ai malati di peste condannati alla fine e non c’è medicina per salvarli. E allora perché spendere soldi e tempo? Ma dal germe e l’intuizione dei Carlo e Federico Borromeo (santi mica per niente) si sviluppa l’idea che dare senza aspettarsi niente in cambio finisce per essere redditizio. Ti arricchisci di umanità, qualcosa che non si svaluta mai con il tempo. E prima ancora la Cà Granda, l’ospedale Maggiore, costruito per i poveri. Ma era così efficiente che anche i ricchi hanno cominciato ad andarci, a pagamento. Su quella scia la Milano dell’Ottocento è un fiorire di associazioni che anticipano i tempi. C’è la Casa dei migranti che sorge dietro la vecchia stazione Centrale per intercettare un’emergenza con duecento anni di anticipo. E le associazioni per i diritti delle donne e dei bambini, ai tempi ancora cittadini di serie B. E poi la cultura con l’utopia che diventa realtà di elevare le classi meno indigenti. E di dare un’istruzione a chi non ce l’ha. La Società Umanitaria che nasce in quegli anni è un esempio che verrà seguito. E sono intrisi di milanesità i Martinitt e le Stelline, le associazioni che davano una casa e insegnavano un mestiere agli orfani. Da allora fino ad oggi. E non è finita.
Carlo Baroni (Corriere)
Milano Post è edito dalla Società Editoriale Nuova Milano Post S.r.l.s , con sede in via Giambellino, 60-20147 Milano.
C.F/P.IVA 9296810964 R.E.A. MI – 2081845