Ricordando Bernando Caprotti, una vita da guerriero

Milano

Milano 2 Ottobre – E’ morto Bernardo Caprotti, il fondatore e proprietario del gruppo di supermercati Esselunga, che proprio in questi mesi aveva deciso di vendere. Pioniere della grande distribuzione in Italia, imprenditore capace e vulcanico, negli ultimi anni si era fatto conoscere in tutta Italia grazie al libro Falce e carrello, uno schietto atto d’accusa contro le Coop. Qui di seguito riproponiamo una nostra intervista, comparsa sul settimanale Tempi nel marzo 2011. 

Classe 1925, da Albiate, Brianza. Bernardo Caprotti avrebbe potuto vivere da aristocratico faniguttun, fannullone. E invece, da giovane rampollo di una famiglia agiata qual era, dalle tradizioni imprenditoriali secolari, francese da parte di nonna, tedesca da quella di nonno, attiva nell’industria tessile e nel commercio del cotone (o meglio, del “cottone”, da “cotton” americano, da cui deriva, soppiantando l’indigeno “bambagia”, l’adattamento nella koiné brianzola), negli anni Cinquanta viaggia negli States e decide di applicare il suo spirito imprenditoriale alla grande distribuzione. Cosmopolita e poliglotta (grazie a suo padre che a metà degli anni Trenta aveva già capito tutto e gli diceva «la Germania perderà la guerra, vinceranno gli inglesi e tu studierai l’inglese»), Caprotti è una figura umana all’apparenza incerta ed esile, ma che in realtà ha la struttura della pietra e il culto del fare e far bene. È nel sabato mattina precedente all’Angelus in cui il Papa ha benedetto il dialogo e l’intelligenza degli uomini che incontriamo Mr Esselunga sul posto di lavoro. Nel negozio di Lissone, al tavolo del caffè, nell’intervallo tra una riunione e l’altra con la sua nutrita “comunità di lavoratori”, come chiama lui i suoi dipendenti. Fresco come una rosa nel riportare ogni osservazione a un fondamentale ardore e gusto per le cose ben fatte, e saettante come una frusta nel parlare di come va il mondo. (…) Insomma, avete capito che fortuna è, per un giornale, essere ricevuti da un imprenditore così, Bernardo Caprotti, leader nella grande distribuzione in Italia, che non fa comizi e non rilascia interviste.


In Italia non si ricorda a memoria d’uomo un imprenditore che abbia condotto una battaglia così aspra, pubblica, direttamente sui grandi mezzi di comunicazione, contro chi ha ritenuto essere i suoi concorrenti sleali. Dottor Caprotti, come gli è venuto in mente di sfidare i sindacati e le Coop?
Guardi, a un certo punto ci si trova in una situazione molto particolare. Ci sono troppi limiti, troppe regole, troppi lacci e lacciuoli, che poi vengono interpretati di volta in volta come uno vuole. Troppe difficoltà nella nostra libertà di agire e di rinnovare l’impresa. Soprattutto in certe zone, come la Toscana o l’Emilia Romagna, ma anche a Cusano Milanino, dove abbiamo un terreno, una bellissima proprietà comperata venticinque anni fa. Era uno stabilimento Pirelli. Trentamila metri. Non ci hanno mai fatto fare niente. A un certo punto la misura è colma. Allora abbiamo deciso di dire le cose come stanno. Voglio ricordare, però, che la goccia che ha fatto traboccare il vaso sono state le provocazioni di Coop. Perché il libro è una reazione ai continui attacchi e illazioni contro Esselunga di Aldo Soldi (presidente Ancc-Coop, ndr) e di altri della cooperazione. Così, a un certo punto, abbiamo detto basta, adesso per piacere la piantate. Lo abbiamo detto sui giornali.

E ne è venuta fuori una guerra coi fiocchi.
Già, si sono arrabbiati. Perché sa, loro sono degli intoccabili, loro sono automaticamente gente perbene, onesti, corretti, benefattori. Loro lavorano per gli altri, mica per se stessi. Allora, questa falsità, questa impostura, ci ha fatto saltare la mosca al naso. Così, dalle inserzioni sui giornali siamo passati…

Falce e Carrello, il caso editoriale dell’anno, quasi 200 mila copie vendute, altre decine di migliaia in arrivo.
Appunto, una cosetta da poco, così, tanto per mettere nero su bianco qualche esempio, di quelli più clamorosi e provati, di questa storia.

Effetti collaterali del bombardamento chirurgico, querele? E quante querele?
Querele? Quali querele? Guardi, io sono uno che ha detto a questi signori che sono dei bugiardi per lettera raccomandata. Che ha scritto sui giornali: signori siete dei bugiardi. Che è andato a Otto e mezzo da Giuliano Ferrara e ha dato dei bugiardi a questi signori davanti a due milioni di telespettatori. Di querele non ne sono mica arrivate. E sa perché?

Perché sono bugiardi?
Scusi, ma se io le do del bugiardo, lei che fa?

Tratto con lei una buonuscita, facciamo una casetta in Canada?
Vede che sono bugiardi?

L’hanno accusata di concorrenza sleale.
Sì, ho sentito anche questa. E allora perché non mi querelano?

Senta, lei ha dovuto comperare pagine e pagine del Corriere della Sera e scrivere un libro per raccontare come stanno i fatti. Adesso si scopre che in Italia censurano anche il Papa. Ci sono analogie, secondo lei, tra ciò che le è capitato come imprenditore e le manifestazioni di intolleranza contro il Santo Padre all’università della Sapienza?
No, direi che quanto è successo al Papa non c’entra con la politica ed è responsabilità di una frangia miserabile. Abbiamo visto in televisione, fra questi cosiddetti studenti, un uomo che avrà avuto sessant’anni, con la barba bianca. Cosa sarà stato, uno studente fuori corso? No, questi sono solo episodi di maleducazione, miseria, inciviltà, prodotti da quel genere di persone che io chiamo schiuma della terra. Direi che tutti si sono associati alla denuncia e persino Paolo Mieli, che è una persona di sinistra, un illuminato, un intellettuale pieno di comprensione per tutto e tutti, è stato molto duro con gli organizzatori della vergognosa gazzarra. No, questa storia non c’entra nulla con la nostra vicenda. Anche se, debbo dire, dal rettore al capo del governo di Roma, che mi pare siano fortemente di sinistra, non mi sembra abbiano fatto una gran bella figura. In sostanza, a parte qualche professore cretino, mi sembra di Fisica, tutti si sono dissociati dalla schiuma.

A proposito di Romano Prodi. Cosa ha pensato quando il presidente del Consiglio si è autorevolmente espresso per una soluzione italiana nel caso Esselunga fosse stata messa in vendita?
Guardi, Prodi si è lasciato andare in quella dichiarazione una sera che parlavano di banche, scalate, mi pare Antonveneta, e c’erano di mezzo gli olandesi. Prodi ha tirato fuori questa storia forse perché Aldo Soldi andava in giro da un anno a parlare di Esselunga, dell’italianità di Esselunga, della sua preoccupazione da italiano per Esselunga e via discorrendo delle cose di cui poi io discorro in Falce e Carrello. Perciò non ho dubbi: direi che è stata una dichiarazione spontanea, fatta da un grande pensatore e manager qual è Romano Prodi. Perché sa, il nostro presidente è un uomo che si intende di tutto. È stato all’Iri. Barilla, Bertolli, Motta, Finmeccanica. Si intendeva di pasta e di olio. Era uno specialista di panettoni e costruiva navi. Prodi sa fare tutto. Sono poche le cose che Prodi non sa fare…

Mi pare che gli italiani abbiano capito che lei è un imprenditore doppiamente fortunato. Ha costruito un’azienda gioiello ed è riuscito nell’impresa di non cedere ai ricatti di un certo sistema che in molti altri casi si è rivelato e si rivela mortale per la produttività e la competitività (quando non per la stessa sopravvivenza) di un’impresa italiana. La domanda è semplice: come ha fatto?
Lo dico onestamente: è stato proprio facile. Uno tira fuori i coglioni, se li ha, e si oppone. Punto. Si oppone. Sa, i sindacati sono stati una cosa bellissima, però quando sono diventati solo un sistema di potere – e le assicuro, mi spiace doverlo dire – hanno prodotto solo guai. Hanno disfatto Alitalia, il porto di Genova, la Magneti Marelli, la Ciga, la Compagnia italiana grandi alberghi… e adesso volevano disfare pure Esselunga. Eh, no, questo non gliel’ho permesso. All’ultimo sciopero che mi han fatto in azienda ha aderito il 4 per cento. Siamo 17 mila, faccia un po’ lei i conti. Se altri in questo paese avessero reagito in modo un po’ diverso, forse non saremmo qui a piangere sulle rovine dell’Italia.

Su, dottore, adesso non ci faccia la predica antisindacale.
No, guardi, io non faccio nessuna predica. Io riconosco e rispetto i problemi dei lavoratori. Perché una cosa sono i faniguttun, come diciamo noi in Brianza, un’altra sono gli operai, i lavoratori onesti, che guadagnano tutti troppo poco. Ma anche qui, per colpa di chi? Io ho un grande rispetto per i metalmeccanici e credo che sia stata sacrosanta la loro rivendicazione di salari più dignitosi. Ma dico: se io imprenditore per dare una lira di più a te ne devo spendere tre in tasse, mi spiega lei dove li vado a prendere i soldi senza perdere la competitività sul mercato globale, roba che oggi sappiamo tutti che razza di sacrifici comporta, con i cinesi che lavorano come schiavi, l’Est che ci dà la birra perché le industrie delocalizzano e pagano niente gli operai? Sono io il primo a volere che i miei lavoratori siano pagati come si deve perché possano vivere, lavorare e provvedere al sostentamento delle loro famiglie in pace e tranquillità. Però non è l’imprenditore l’avido e il ciuco. Lo sono quelli che invece di lavorare fanno gli agitatori di professione. O i politici che invece di fare leggi giuste e fisco equo, ci addossano gli sprechi e tassano i salari in modo assurdo. Guardi che queste cose non le dico soltanto io. Anzi, direi che io le sto solo raccontando la scoperta dell’acqua calda. Cosa dicono, infatti, stando ai sondaggi, quel 70 per cento di italiani che non hanno fiducia nei sindacati e quell’80 per cento di italiani che non hanno fiducia nel governo Prodi?

Però, a parte il caso Prodi, la peggiore parentesi che si potesse immaginare, bisogna ammettere che in generale i politici non sembrano all’altezza della situazione e che anche prima, sotto il governo Berlusconi, non è che l’Italia sia ripartita. Colpa solo della sinistra e dei sindacati?
Che ci siano troppi mantenuti in giro è un fatto. Poi io non dico che siano tutti così e capisco benissimo che non si può buttare tutto nell’antipolitica. Però, ripeto, c’è troppa gente in giro che fa danni invece di coltivare la famosa dorata di Voghera. Sa cos’è la “Dorata di Voghera”?

No, non lo so. Conosco un certa massaia di Voghera, ma non la dorata. Cos’è?
Una cipolla. La più bella cipolla del mondo. Che prima coltivavamo qui, nella nostra Bassa, adesso arriverà dalla Macedonia o dall’Andalusia, perché qui non vuole coltivarla più nessuno. Perché qui nessuno vuole più piegare la schiena. Guardi, noi qualche giorno fa, qui a Biandrate, abbiamo aperto un nuovo centro di distribuzione. Tra noi e le cooperative di lavoro abbiamo assunto seicentottanta persone. Credo che gli italiani non siano più di dieci. Sono tutti extracomunitari. E non è che non abbiamo cercato di assumere gli italiani. Ne abbiamo intervistati tre o quattrocento. Ma le pias minga. All’italiano piace di più fare l’impiegato delle Poste o dell’Asl, il bidello o il sindacalista…

Il concetto è chiaro. Però qualcosa si sta muovendo.
Per esempio?

Bè, lei avrebbe mai immaginato che Walter Veltroni dicesse che «l’imprenditore è un lavoratore» e «basta con l’ideologia»?
Bè, mi congratulo con Veltroni. Sì, anch’io vedo un po’ di movimento. Ho in mente Pietro Ichino, che va scrivendo tante belle cose sul Corriere della Sera. E condivido anch’io il desiderio di giustizia che c’è in giro. Sa, io sono un nemico di quelli che vanno in giro in yacht per la Sardegna. Indecenti. Vergogna. Quello è un capitalismo che mi fa schifo. I soldi devono servire per intraprendere. Non si può mangiare più di due volte al giorno. Ma forse io sono un calvinista, come mi definiva Indro Montanelli…

O semplicemente un normale cattolico ambrosiano. Popolare, laborioso, pratico, positivo, che non ha nulla a che spartire con la cura conformista e vanesia, più che pastorale, delle anime. Insomma, non il “cristiano cetriolino” di cui parlava Bernanos, ma della razza che racconta il cardinale Giacomo Biffi nelle sue memorie. Ma lasciamo perdere. Cosa ci dice delle liberalizzazioni di Bersani?
Bersani ha fatto anche delle cose buone. Per esempio ha liberalizzato il pane. Se lei va nell’angolo là in fondo di questo negozio, troverà un pane che noi abbiamo ribattezzato “bastoncino francese”. Che poi, questa del “bastoncino francese” sono i misteri della nostra civiltà.

Scusi, quali misteri?
Quando tanti anni fa sono andato per la prima volta in Russia, ho cercato l’insalata russa e non l’ho trovata. Perché? Perché l’insalata russa non è russa. È come andare in Francia a cercare il vitel tonné. Ti danno la minerale Vitel. E così, qui in Brianza, quando ero bambino, il pane con quel velo di farina bianca si chiamava “pane francese”. Così oggi noi di Esselunga abbiamo fatto il “bastoncino francese” che in Francia non c’è. El ghè a Lisun, el ghè a Seregn, el ghè a Giusan. Ma el ghè minga in Francia. Dunque, mi fa piacere che Bersani abbia liberalizzato il pane. Il resto, per esempio le liberalizzazioni delle farmacie, si può discutere. Perché? Perché è fatto molto ad arte per le cooperative. Però, diciamo la verità, lui ci ha provato. Il fatto è che qui in Italia tu tocchi i tassisti: sciopero. Tocchi i notai: sciopero. Tocchi i forestali della Calabria: Alemanno, sciopero, blocchi autostradali, boschi a fuoco. Insomma l’Italia è un paese difficile. Penso che ci voglia una guerra.

Una guerra?
Sì, penso che ci vorrà una guerra per schiodarci. O un’invasione barbarica. O bisognerà che arrivino i russi a liberarci.

Da una parte la galassia delle Coop, dall’altra la grande distribuzione straniera. Qual è il segreto che vi fa reggere la concorrenza?
Noi non ci sentiamo accerchiati per niente, eccetto per quegli ostacoli di natura politica di cui abbiamo parlato. Riteniamo di essere competitivi, di avere dei costi più bassi e una qualità più alta degli altri, un personale eccezionale. Tutto qui. Per noi stare sul mercato non è un problema. Ecco, uno dei segreti può essere che noi abbiamo un sistema di saldi su prodotti freschissimi che altri non hanno perché non hanno l’efficienza della nostra distribuzione.
Lei parla spesso di questo suo “personale eccezionale”.
Ah, se volete ve lo faccio conoscere. Ne ho qui settanta, quelli là al banco, stanno finendo la riunione del sabato mattina. Uè Meregalli, ven chi.

Qual è il vostro metodo di lavoro?
Tutti i sabato mattina, quaranta-cinquanta persone per negozio (compratori, venditori, informatici, ingegneri eccetera) si ritrovano e parlano delle questioni. Non c’è un’agenda, si discute liberamente e poi si finisce al bar. È una comunità. Perché, vede, le aziende sono i monasteri della nostra età. Quando poi diventano delle General Electric o Microsoft, ecco gli ordini: benedettini, cistercensi, domenicani, gesuiti, domenicani contro gesuiti, eccetera.

E lei di che ordine è?
Perché, non si vede? Gesuita. Sono sempre stato gesuita e (sorride, ndr) sono contro i salesiani perché ho un nemico in Emilia-Romagna che è stato educato dai salesiani.

Chi è il consumatore?
Il sovrano del mercato. Purtroppo il mercato italiano, ma anche quello tedesco o belga, è tutto regolamentato. Stato, Regioni, piani, programmi. Per cui qui da noi il consumatore non può avere tutta la libertà che ha in America o in Spagna.

Com’è cambiato il consumatore dai suoi anni di gioventù a oggi?
Nella mia esperienza sessantennale, già a cominciare da quando ero nel tessile, non vedo sostanziali cambiamenti. Resta sempre vero quello che diceva Jefferson: tu puoi fregare qualcuno una volta, ma non puoi fregare tutti sempre. Il consumatore alla fine è quello che decide, che sceglie e che premia il prodotto migliore.

Perché per Esselunga non ha funzionato la vendita online?
Perché è costosissima. Noi però la facciamo ancora, la facciamo anche con i prodotti freschi… eccoli là gli uomini eccezionali (Caprotti saluta da lontano due dipendenti, ndr), uno è il signor Ponti, che è appunto il capo dei prodotti freschi, viene da Induno Olona, è qui dalle sei del mattino; l’altro è il dottor Ferranti, lui è il capo del pane.

Diceva della vendita online…
È difficilissima per i costi, la gestione, la manteniamo solo su certe piazze e credo che oggi in Italia siamo rimasti solo noi a farla. Sa, poi il negozio ti dà il vantaggio di scegliere il prodotto.

Dopo Falce e carrello ha subìto ritorsioni?
No, niente. Anzi. Devo dire che anche nei rapporti con una certa sinistra non ho avuto nulla da recriminare. Nessuna vessazione, nessuna reazione cattiva. Correttamente devo riconoscere la lealtà di quello che sarebbe il mio nemico. E invece non lo è. Sono loro che vogliono fare i nemici. Io non sono nemico di nessuno. Tranne naturalmente che della Coop.

Altri nemici?
La scuola italiana. Mi ha dato tanto fastidio a Natale sentire dal ministero che per la maturità classica si porterà greco e per la scientifica matematica. Ma vogliamo scherzare? Si porta tutto e si portano i tre anni! E poi, si ricominci a studiare un po’ l’italiano che nessuno lo sa più parlare correttamente. Ma è mai possibile che illustri professionisti non siano capaci di scrivere nemmeno una lettera? Trovo che la scuola sia decaduta in un modo drammatico.

Si dice che lei sia uno degli imprenditori che, diciamo così, si confronta spesso con Berlusconi.
No, guardi, Berlusconi è una persona che io rispetto molto, ha delle capacità eccezionali, coraggio, uomo intelligentissimo. Ci siamo visti sei anni fa. Poi per sei anni non l’ho più visto. Ci siamo rivisti recentemente perché lui vuol realizzare una certa cosa e ha chiesto a me e altri imprenditori di collaborare. Ma si può dire che non ho mai avuto un confronto con Berlusconi. Primo perché è impossibile confrontarsi con Berlusconi. Secondo, perché noi due la pensiamo allo stesso modo. Lui è un liberale come me. Abbiamo lo stesso grande rispetto per gli anglo-americani che ci sono venuti a liberare e a morire per noi. E poi ci sono tante belle cose che ci uniscono. Ad esempio, ieri ho sentito che ha passato cinque ore vicino alla sua mamma che non sta bene. Ecco, sono queste le cose che contano.

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Luigi Amicone (Tempi)

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