Referendum: dal Pd 2,8 milioni di euro per la campagna del Sì, 400 mila al guru Messina

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Milano 6 Ottobre – Il referendum costituzionale è di tale importanza che Matteo Renzi non vuole badare a spese. La campagna per il Sì pesa sulle tasche del partito in termini di energie, uomini e soldi. Soprattutto, soldi. Com’è noto, il premier, appassionato spettatore di politica americana, non è andato a pescare Oltreoceano un nome qualsiasi, bensì Jim Messina, colui che da tutti è considerato l’artefice della vittoriosa campagna di Barack Obama nel 2012, quella più complicata, con un leader consumato dalla prova di governo che doveva fare i conti con la realtà di un congresso spaccato, dopo il trionfante mid-term repubblicano. Una situazione che, fatte le debite differenze, non è troppo dissimile in Italia. Il Paese è diviso e a Messina Renzi ha affidato il compito più arduo: traghettare gli indecisi verso il sì. Il tutto per una parcella di 400 mila euro.

È quanto prenderà il guru per la sua super-consulenza, appena centomila euro in meno di quanto, mezzo milione di euro, il Pd ha incassato con la raccolta delle 500 mila firme per il referendum. La cifra sta circolando tra i parlamentari democratici venuti a conoscenza che quei soldi saranno scuciti dai gruppi di Camera e Senato assieme agli ulteriori 700 mila euro destinati alla campagna pubblicitaria. Quella, per intenderci, che sta tappezzando le grandi città, autobus compresi. Quella anche che ha fatto infuriare un po’ di parlamentari della minoranza, bersaniani e non, per i toni dal sapore di anti-politica che cavalcano i temi contro la casta tanto cari ai 5 Stelle. Marco Meloni, deputato fedelissimo di Enrico Letta, ha chiesto apertamente su Twitter che venga ritirato lo slogan di Basta un Sì che domanda all’Italia se si vuole «diminuire il numero dei politici». Tutti i cartelloni sono firmati in basso dai deputati e dai senatori del Pd. Per questo, Meloni si è sentito in diritto di chiedere al suo capo-gruppo Ettore Rosato di cancellarlo: «Ok riduzione dei senatori, non dei “politici”. Il manifesto è sbagliato. I politici sono tutti i cittadini che fanno politica». Non c’è bisogno di un briefing con Messina per capire che con l’aria che tira in Italia, la parola “politici” accanto a “taglio” ha molta più efficacia di senatori, che comunque verranno ridotti ma non aboliti.

Lo slogan non è andato giù a molti altri democratici, curiosi di sapere di più anche su quanto spenderà in tutto il Pd, alla fine. Sì, perché ai soldi dei gruppi ci sono da aggiungere quelli del partito, che si aggirano attorno a 1,7 milioni di euro. Il gruzzolo finale dovrebbe fermarsi così poco sotto i 3 milioni di euro. «Abbiamo 14 milioni di euro a bilancio – spiega Daniele Marantelli, tesoriere del gruppo Pd alla Camera, non del partito – La campagna del referendum è perfettamente coincidente con le tipiche attività del gruppo». E confermando il compenso di Messina aggiunge: «C’è da dire che lo abbiamo pagato anche per la campagna No Imu lanciata prima delle elezioni amministrative». «Peggio mi sento – rispondeun deputato bersaniano – visto come sono andate a finire quelle elezioni».

Di referendum Messina però ne ha già vinto uno, nel 2014 accanto a David Cameron contro l’indipendenza della Scozia. Renzi spera che possa bissare in Italia. Il premier punta sul suo fiuto e su un marketing massiccio che serve anche a coprire la campagna per il Sì dagli attacchi di avversari e critici che spuntano quasi quotidianamente. Ieri è stato il turno del Financial Times, autorevole quotidiano finanziario britannico che senza troppo tatto ha definito le riforme di Renzi «un ponte verso il nulla».

Ilario Lombardo (La Stampa)

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