Infertilità: evento più grave della vita per il 50% delle donne e il 15% degli uomini

Scienza e Salute

Un aiuto grazie allo spazio digitale: www.parolefertili.it, spazio on line per la condivisione di storie sulla ricerca di un figlio

Milano 6 Ottobre – L’infertilità è una malattia riconosciuta nel 2013 dalle Nazioni Unite nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; riconosciuto è il diritto universale ad accedere alle cure a prescindere da razza, nazionalità o religione; diritto alla famiglia sancito anche dall’art. 31 della nostra Costituzione. L’infertilità ha un forte impatto emotivo sul vissuto delle persone accompagnato da un senso di colpevolezza e negazione. Secondo un recente studio, il 50% delle donne e il 15% degli uomini considera l’infertilità l’evento più grave della vita. Le donne infertili presentano un quadro psicologico sovrapponibile alle pazienti affette da patologie come il cancro.

«Dal 2004, anno di promulgazione della legge 40, molti passi avanti sono stati fatti nel nostro Paese e oggi sono molte le strutture che possono offrire terapie complesse e tecnologicamente avanzate” spiega Andrea Borini, presidente della Società Italiana di Fertilità e Sterilità, SIFES e MR – “con l’ingresso della procreazione medicalmente assistita (PMA) nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) l’infertilità è riconosciuta come una malattia. I limiti di età e il numero di tentativi (cicli di PMA) sono trattati in termini di allocazione delle risorse e di scelte di politica sanitaria. Il SSN pone dei limiti alle prestazioni di PMA, ma l’esperienza clinica ci dice che ciò che non è avvenuto in 3 cicli può succedere in quelli successivi e, ovviamente, più tentativi corrispondono a maggiori possibilità di successo. Gli studi che hanno portato a limitare a tre i cicli della PMA sono stati smentiti da altri dati di letteratura (NICE 2013). Alla coppia, bisognerebbe dare la possibilità di tentare protocolli diversi e terapie diverse, per aumentare le motivazioni a ripetere i cicli di PMA, conclude Borini».

«La difficoltà o l’impossibilità a generare è vissuta come un tabù. A differenza di altre patologie, nell’infertilità si diventa ‘pazienti’ solo nel momento in cui si desidera un figlio. Senza il desiderio, si resta fertili, anche se medicalmente sterili. Le difficoltà a realizzare il desiderio di maternità/paternità sono vissute con colpa, dolore, frustrazione, invidia, emozioni difficilmente comunicabili” – chiarisce Cristina Cenci antropologa, fondatrice del Center for Digital Health Humanities. “Spesso lo spazio digitale consente di uscire dalla solitudine, offre un’intimità anonima che facilita l’espressione e la condivisione del vissuto di infertilità. Da questa esigenza nasce ‘Parole fertili’ (www.parolefertili.it) un progetto di storytelling, dedicato alla condivisione di storie sulla ricerca di un figlio. Uno spazio online in cui raccontarsi senza filtri, aperto a tutte le storie, anche le più difficili, anche quelle di chi, senza figli, cerca altre modalità di reinventarsi fertile. Molte donne scrivono, ma molte di più sono quelle che leggono le storie di altre. Al momento tra le nostre storie il grande assente è l’uomo, intrappolato in un silenzio che nasce dal rifiuto del fallimento, che spesso porta anche al rifiuto della diagnosi. La sfida che le storie pubblicate finora ci lanciano è quella di trasformare la PMA in un percorso più personalizzato e meno artificiale».

Ma si evidenzia un altro ostacolo, ancora più subdolo: la paura, lo stress, l’essere messi ogni volta di fronte alle proprie difficoltà, che porta quasi il 50% delle coppie ad abbandonare il percorso di procreazione medicalmente assistita prima del termine dei cicli previsti. E’ un comportamento osservato in diversi Paesi e che sta portando le maggiori società scientifiche, l’ESHRE European Society of Human Reproduction and Embriology, l’ASRM, American Society for Reproductive Medicine, a studiare fattori correttivi per migliorare l’adesione dei pazienti al trattamento.

«Solo nel 2014 le coppie che hanno fatto ricorso alle tecniche di PMA sono state 70.826 per un totale di 16.041 gravidanze e 12.720 bambini nati”, afferma Giulia Scaravelli, ginecologa, Responsabile del Registro Nazionale Procreazione Medicalmente Assistita dell’Istituto Superiore di Sanità e membro dell’Esecutivo del registro Europeo (EIM). “Il Registro censisce le strutture autorizzate ad applicare le tecniche di PMA, raccoglie annualmente i dati sui cicli di trattamento eseguiti, sulle gravidanze ottenute e sui bambini nati e delinea il quadro epidemiologico della loro efficacia e sicurezza. In Italia l’accesso alle tecniche e la loro offerta sono migliorate negli anni, il 2,5% dei neonati italiani sono nati grazie all’applicazione di tecniche di PMA e l’offerta dei cicli per milione di abitanti è paragonabile a quella europea (1.102 in Italia contro 1.253 in Europa). L’elemento preoccupante è il progressivo aumento dell’età media delle donne che fanno ricorso a queste tecniche, dai 35,3 anni del 2005 ai 36,7 del 2014. Dai dati raccolti emerge che un ricorso alla PMA in età precoce porta ad una percentuale maggiore di successi».

«Per motivi legati a mutamenti di natura socio-culturale ed economica si assiste ad un continuo calo delle nascite: 12.000 in meno rispetto al 2013” – conferma Alessandro Solipaca, Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane – Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. “Oltre 700.000 coppie nel nostro Paese sono affette da infertilità. Per il futuro ci si aspetta un ulteriore calo delle nascite, poiché la popolazione femminile residente tra 15 e 30 anni è, in termini assoluti, poco più della metà di quella tra 30 e 49 anni; in prospettiva ci saranno meno donne in età feconda con la prospettiva di un Paese destinato ad “invecchiare” sempre di più».

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