Milano 13 Ottobre – Lei ha presentato, con l’ex Cinquestelle Serenella Fucksia e con il sudtirolese Hans Berger, due ambiziosi disegni di legge per l’abbandono del “diritto pesante del lavoro”. Perché sarebbe giunto il momento di una tale operazione di riforma?
Si afferma quotidianamente che siamo immersi nella quarta rivoluzione industriale ma non se ne traggono le conseguenze dal punto di vista del quadro regolatorio. Le tecnologie digitali cambiano i modelli di produzione che da verticali si fanno orizzontali. Cambia il lavoro subordinato che già non è più mera esecuzione di ordini gerarchicamente impartiti, secondo orari rigidi, su permanente postazione fissa, remunerato con salari egualitari. Esso si svolge per cicli, fasi, obiettivi, risultati secondo dosi crescenti di autonomia e responsabilità del lavoratore. E la stessa disciplina della sicurezza nel lavoro deve uscire dal formalismo giuridico per un approccio più sostanziale.
Questo cambiamento delle regole riguarda solo il lavoro?
Ovviamente no anche se il diritto del lavoro, figlio della seconda rivoluzione industriale, è particolarmente pesante perché ideologico, costruito sul presupposto della tutela del contraente debole da un “padrone” inesorabilmente votato al suo sfruttamento. Bisogna ripensare tuttavia anche il diritto amministrativo che, a differenza del common law, è un freno al pieno dispiegarsi della Pubblica Amministrazione 4.0 con tutti i vantaggi che ne deriverebbero ai cittadini e alle imprese.
Come cambiare quindi la regolazione?
Nel caso del lavoro, ma non solo, ridimensionando la rigida fonte legislativa, per definizione incapace di rincorrere un cambiamento veloce e imprevedibile. Essa si deve limitare a poche norme inderogabili perché si riferiscono ai principi costituzionali e comunitari. Per tutto il resto si deve fare rinvio alla duttile contrattazione collettiva, specie aziendale o territoriale in base a quell’art. 8 della manovra 2011 che consente di derogare a leggi e contratti nazionali affinché le parti si adattino reciprocamente nei concreti contesti locali. Anzi, si tratta ora di dare analogo potere al contratto individuale se certificato. In questa nuova dimensione la tutela fondamentale del lavoratore non e’ più lo statico e difensivo art. 18, che va anzi soppresso completamente, ma il diritto ad accedere continuamente ad abilità e competenze.
E per la salute e sicurezza?
La nostra proposta semplifica drasticamente il complesso Testo Unico che chiede agli imprenditori, senza distinguere tra uno studio professionale e una fonderia, faticosi adempimenti formali per cui il principale consulente e’ un leguleio che, invece di consigliare come prevenire il rischio per la salute dei lavoratori, consiglia come prevenire il rischio di responsabilità per il datore di lavoro. Anche qui ci si deve riorientare a poche norme inderogabili e a molta formazione, sorveglianza sanitaria, impiego di tecnologie evolute e sicure. Il tutto secondo linee guida, buone pratiche, norme tecniche che si evolvono rapidamente ed il cui rispetto può essere certificato dalle professioni esperte.
Quindi altre leggi del lavoro nonostante il recente jobs act?
Il Jobs Act doveva superare l’art.18 e con esso il rischio per il datore di lavoro di essere obbligato a reintegrare in azienda il lavoratore licenziato con il quale si è spezzato il rapporto di fiducia. All’ultimo momento è invece saltata la norma, che avevo personalmente convenuto con il governo, secondo cui l’imprenditore avrebbe sempre potuto convertire la condanna alla reintegrazione con un adeguato indennizzo proporzionato alla durata del rapporto di lavoro. In compenso si e’ ulteriormente irrigidita la separazione tra lavoro dipendente e lavoro indipendente mentre la realtà induce ad una confusione crescente tra le due modalità di prestazione. Quanto agli incentivi poi, essi sembrano avere prodotto risultati sproporzionati all’entità della spesa e comunque reversibili. Il costo indiretto del lavoro deve diminuire strutturalmente.
Quando potranno essere esaminati i due ddl?
Non certo in questa legislatura perché nella sinistra prevale ancora la vecchia impostazione che mantiene rattrappito il nostro mercato del lavoro. Abbiamo presentato queste due proposte con l’intenzione di aprire un dibattito culturale nella società prima ancora che nel Parlamento. Per mia parte, spero possano concorrere a rifondare la cultura politica liberalpopolare dopo tanto disorientamento. Dobbiamo impedire che la rivoluzione tecnologica polarizzi le competenze e i maggiori redditi su una minoranza mentre i più sarebbero condannati all’esclusione e….al reddito di cittadinanza. Possiamo ancora una volta dimostrare che l’uomo produce strumenti potenzialmente votati al suo progresso se sappiamo gestire il cambiamento.
Elena De Giorgio (L’Occidentale)
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