Milano 23 Ottobre – Questa lettera arriva dalla coautrice dello Spot con Checco Zalone sulla Sma. L’autrice, affetta dalla terribile malattia, ha mandato una lettera a Repubblica che pubblichiamo per dare visibilità al grande problema dei trasporti Milanesi. La gestione di Atm. Dove chi lavora e si impegna rischia di vedersi mettere sullo stesso piano degli impiegati che ha incontrato Anita.
Da alcuni anni frequento spesso Milano. Lo faccio per lavoro, perché qui c’è la sede della Fondazione Telethon, e per le visite mediche. Vivo a Bari, conosco bene anche Roma. Città diverse, vantaggi e svantaggi diversi. Quando sono a Milano, come in questi giorni, mi piace vivere e assaporare le possibilità che questa città offre, soprattutto quel grande senso di “normalità” per me, che da ventisette anni convivo con la Sma, una malattia neuromuscolare molto simile alla Sla.
Giovedì è stata una giornata quasi perfetta. Finito il lavoro alla Fondazione, verso le 17, mi sono avviata con la mia carrozzina verso l’albergo in zona Niguarda. Prendendo i mezzi, come faccio sempre a Milano. Primo tragitto perfetto: da Porta Venezia alla fermata Duomo, sulla linea Rossa, mi sono immersa nel caos dell’ora del rientro, osservando le facce stanche di chi tornava a casa dal lavoro, come me, immaginando già il momento del riposo. Arrivata alla stazione Duomo, però, l’addetto dell’Atm non mi ha fornito alcuna assistenza: ho dovuto insistere parecchio, prima che si degnasse di aiutarmi a raggiungere il binario della Gialla. Facendolo di malavoglia, continuando a giocherellare con il cellulare, tanto che ho perso il primo treno. A quell’addetto avevo chiesto più volte quello che chiedo sempre, in metropolitana: “È sicuro che a Maciachini, dove devo scendere, l’ascensore funzioni?”.
È una domanda che devo fare perché questa è la prassi, perché se l’ascensore non funziona, io non posso raggiungere l’uscita. Rassicurata, sono salita sul vagone, scoprendo all’arrivo a Maciachini che non soltanto l’ascensore su quel binario è fuori uso, ma senza un addetto ad aspettarmi sul binario. Per mia fortuna – ma perché devo affidarmi alla fortuna? – una ragazza scesa dal treno con me è andata a chiamare l’addetto: anche in questo caso trovo una persona che arriva già spazientita, e chiaramente con poca voglia di aiutarmi. Dopo più di mezz’ora, la soluzione: mi rispediscono su un treno per Dergano, qui scendo, cambio direzione e torno indietro, sul lato della fermata Maciachini dove l’ascensore funziona. Ancora una volta, pur sapendo quanto era accaduto, non ho trovato nessuno di Atm ad aiutarmi: ho girellato per un po’ tra i corridoi, prima di trovare l’uscita e riemergere in superficie, finalmente. L’ultimo tratto è in tram: lo vedo in lontananza alla fermata, dubito di riuscire a prenderlo. Invece il tranviere mi vede “correre”, fa scattare la pedana e mi viene a prendere: “Ti ho vista sfrecciare, non potevo non farti salire”, mi dice.
Faccio un po’ di calcoli, arrivando in albergo: ho messo più di un’ora per fare sette fermate di metropolitana. Mi arrabbio, e tanto: perché in una città in cui i mezzi funzionano, e anche bene, e in cui vengono fatti investimenti per l’accessibilità, sono le persone che creano disservizi. Non tutte, certo: ma quelle che hanno poca attenzione, poca voglia di fare il loro lavoro, vanificano lo sforzo di tutti. Nella stessa giornata, anzi nella stessa ora, ho amato e odiato la città, la differenza vera la fanno le persone sempre, Milano ha un potenziale enorme, mi sento a casa, la sento accogliente, sento di potermi costruire qui una “normalità” che mi piace, e per questo mi incazzo ancora di più quando, per colpa di qualche impiegato svogliato, le cose non funzionano come dovrebbero, oggi i mezzi funzionavano tutti, gli esseri umani no.
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