Noi, la crisi, l’euro. Una strada praticamente senza uscita

Attualità

Milano 3 Novembre – Articolo di Pietro Piccinini tratto dal numero di Tempi in edicola

 La gente che non trova lavoro. Le banche piene di “sofferenze”. Le imprese che restano senza soldi. La meglio gioventù che scappa all’estero a cercar fortuna. In una situazione del genere, per l’italiano moderatamente informato, ovvero moderatamente ignorante, soprattutto di economia, è difficile capire perché il governo sia costretto ad attorcigliarsi per settimane in una rissa con i controllori europei a causa di uno zerovirgolauno per cento di deficit/Pil inserito nella manovra. O perché siamo tenuti a strangolare il nostro caro, celebratissimo accenno di microscopica ripresa per onorare oscuri parametri stabiliti chissà come in un ufficio di Bruxelles.

Un buon appiglio può offrirlo un libricino stampato proprio in questi giorni in Trentino. Si tratta del testo integrale della lectio magistralis tenuta l’anno scorso dall’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio a Trento nell’ambito di una serie di eventi in occasione del centenario della Grande Guerra. Un quadro dell’economia europea e italiana dipinto con tratti chiari anche ai profani della materia, sebbene non proprio tranquillizzanti. Sono cose che quelli del mestiere hanno sotto gli occhi da anni, ma Fazio ha il merito di districarle in maniera comprensibile a tutti.

La lezione dell’11 settembre 2015 a Trento è stata per Fazio la prima uscita pubblica dopo le vicende che undici anni fa portarono alle sue sofferte dimissioni da re del credito italiano. Nel frattempo molto dell’onore perduto gli è stato restituito, anche perché i campioni della finanza internazionale che aveva osato sfidare nel nome dell’“italianità delle banche” si sono rivelati dei colossali fallimenti. Ma se Fazio ha deciso di rompere il silenzio non è per prendersi una rivincita sul bel mondo che lo aveva ribattezzato con disprezzo “lo stregone di Alvito”. Piuttosto sembra davvero preoccupato per il costante declino dell’Italia e per la sua incapacità di ripigliarsi. L’estate scorsa ha tenuto una conferenza sugli stessi temi anche nella capitale. Chi lo ascolta parlare in questi mesi se ne torna a casa con la sensazione che siamo in un vicolo cieco.

Ci sono un paio di grafici che tormentano i pensieri di Fazio. Li ha mostrati a Trento e a Roma. Li esibisce ogni volta che qualcuno si rivolge a lui per capire in che acque stiamo annaspando. Il primo è nel Bollettino economico della Banca d’Italia e rappresenta l’evoluzione del prodotto interno lordo dell’area dell’euro e dei suoi principali paesi dal 2007, l’anno in cui il mondo è precipitato nella Grande Recessione. Fatto 100 il valore dell’indice per ciascun paese nel 2007, in nove anni l’area euro è passata da 100 a 102 circa, la Francia da 100 a 105, la Germania da 100 a 108. L’Italia è crollata da 100 a 92.

Il secondo grafico è analogo, ma è prodotto dai consiglieri economici della Casa Bianca. Fazio lo ha spulciato dall’Economic Report of the President, che si fa spedire ogni anno dall’America. In questo caso si fa 100 dal 2008. Dunque: in otto anni l’economia degli Stati Uniti è cresciuta a 111 circa; il Regno Unito, che sta fuori dall’euro, è arrivato a 107; la Germania ha fatto poco peggio (106 circa). L’Italia è raggruppata nei famigerati paesi Piigs con Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna, che hanno fatto pena: da 100 sono scesi a 93. Quanto all’area euro, tolti Germania e Piigs, è poco oltre il galleggiamento.

L’urgenza di investire
È chiaro che c’è un problema dell’euro. Un malanno «grave» che Fazio nella sua lezione scompone in due: un problema dell’area in generale, e uno che riguarda in particolare l’Italia e gli altri paesi deboli. E qual è il guaio dell’area dell’euro? Per arrivare alla diagnosi corretta, Fazio parte dai sintomi principali, che sono tre. Il primo sintomo, assolutamente allarmante, è la disoccupazione, il cui tasso in Italia, per esempio, è oggi tra l’11 e il 12 per cento (il complessivo dell’eurozona è intorno al 10), e questo senza contare la schiera dei Neet che non studiano, non lavorano e nemmeno ci provano. Siamo molto oltre il 4 per cento che indica il pieno impiego, cioè una società in salute. Attenzione perché la disoccupazione è «la principale fonte di disuguaglianza sociale e di ancora non completamente espresse conseguenze politiche», ammonisce Fazio.

Secondo sintomo: la deflazione di fatto. La stabilità della moneta, obiettivo principe della Bce, è raggiunta quando l’inflazione è intorno al 2 per cento all’anno, valore che rappresenta l’aumento “normale” dei prezzi dei beni di consumo dovuto a miglioramento della qualità, innovazione eccetera. Attualmente l’inflazione dell’area dell’euro sta tra 0 e 0,5 per cento. Significa che i prezzi calano. È facile intuire perché per Fazio anche questo sia «estremamente grave».

Terzo, nella bilancia dei pagamenti, che è la differenza tra quanto si esporta e quanto si importa, «l’area dell’euro ha un surplus, nei confronti del mondo esterno del 3 per cento del suo Pil», spiega Fazio. Quest’anno, mal contati, saranno 400 miliardi di dollari. In sostanza vuol dire che quel che si produce in Europa ha molti più compratori all’estero che in patria.

Ricapitolando: forte surplus commerciale, deflazione strisciante dei prezzi, alta disoccupazione. Per Fazio la diagnosi è semplice: l’area euro è chiaramente afflitta da carenza di domanda. Di per sé sarebbe semplice anche la terapia, quanto meno agli occhi di un keynesiano come lui: per stimolare la domanda, bisogna restituire alle persone la capacità di domandare. Investire per dare lavoro, aumentare i redditi, creare capacità di spesa. In proposito Fazio effettua un ripescaggio sorprendente: «L’ex ministro greco delle Finanze Varoufakis, che è stato tanto criticato, aveva capito le cose molto meglio degli altri». Proponeva il Varoufakis approvato da Fazio: se invece di puntare su misure finanziarie dalla portata inevitabilmente limitata (il Quantitative Easing, che pure Fazio apprezza), «i 300 miliardi all’anno fossero stati impegnati in progetti di investimento scelti dalla Banca europea degli investimenti e i relativi titoli acquistati dalla banche centrali nazionali, avremmo un immediato, notevole sollievo della situazione economica».

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