Milano 10 Novembre – “Me ne frego”: così il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker ha risposto alle punture di spillo di Matteo Renzi. Nel mondo ovattato della diplomazia espressioni del genere non sono consuete. In genere sono il prologo della crisi diplomatica che, in questo caso, non avverrà. Tutto si appianerà il giorno successivo al referendum del 4 dicembre.
Il dissenso, infatti, non ha carattere politico ma solo di opportunità economica. La questione gira intorno alla “flessibilità di bilancio”. In buona sostanza il governo Renzi chiede a Bruxelles di allargare il deficit del 2017 portandolo il più possibile vicino al 3%. Ha bisogno di dare un po’ di mance in giro e fare importanti regali con i quali vincere il referendum. La Commissione digrigna i denti perché, secondo le sciagurate promesse contenute nel Fiscal Compacts, l’Italia doveva arrivare nel 2017 all’1.7% per poi andare al pareggio di bilancio nel 2018.
I protagonisti dell’attuale scontro sanno bene che si tratta di una gigantesca sceneggiata a beneficio del proprio pubblico di riferimento: il governo tedesco e quelli nord-europei per Juncker. Gli elettori italiani per Renzi. La Commissione fa la faccia feroce ma sa che dovrà cedere. Il premier italiano è costretto a fare la danza di guerra per illudere fasce crescenti di elettori anti-Ue che le cose devono cambiare.
Il 5 dicembre, giorno il referendum, tutto questo apparirà un ricordo. Gli italiani (qualunque sia il risultato delle urne) andranno a Bruxelles per l’armistizio. La Commissione accetterà concedendo qualche miliardo in più di deficit. Tanto per non apparire insensibile. Sarà, in realtà, una recita. Non sarà un deficit più alto di qualche decimale a restituire dinamismo al Pil. I conti sono presto fatti: l’Italia è l’unico fra i Paesi Occidentali a crescita zero in questo millennio. Avevamo guadagnato qualcosa fino al 2007. Poi il crollo. Per tornare ai livelli pre-crisi serviranno otto anni. Quindi nel 2024. Assurdo perché un intervallo di tempo così ampio è impalpabile come un soffio. Già facciamo fatica a intuire quello che accadrà fra otto ore. Figuriamoci otto anni. La realtà è un’altra. A causa dell’euro l’Italia è entrata in una crisi strutturale. Finché restiamo nella gabbia non potremo mai ripartire e le liti di questi giorni fra Roma e Bruxelles sono giochi di ruolo. Servono fino al 4 dicembre. Poi si vede.
Ernesto Preatoni blog
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