Intoppo ad Aleppo

Esteri

Milano 18 Dicembre – C’è tristezza in questi giorni. Campane a morto, cortei funerei e visi rigati di pianto in Toscana, Ile de France puranco in Bosnia Erzegovina. La tristezza europea sembra ben giustificata. Tanti giovani disoccupati. Il sogno del vecchio continente unito che va spezzandosi. Incertezza, depressione, abbattimento e soprattutto assenza di slancio vitale ed ideali dominano popolazioni sempre più vecchie anagraficamente. Invece no. Non si piange, non si geme, non ci si batte il petto per tutte queste ragioni endogene. Sembra che invece il motivo del dolore sofferto sia Aleppo, città cinque volte millenaria, collocata nella Siria settentrionale, ad un tiro di schioppo, ma è meglio dire di cannone o di missile dal confine con la Turchia. Aleppo, la grigia, nella sua storia millenaria, è stata spesso centro di guerre sconvolgenti. Più di tremila anni fa, qui il Medio Oriente hittita rigettò gli egizi. In era preislamica, persiani e romani se la contendettero fino a distruggerla lasciando ai bizantini la ricostruzione.  Poi i musulmani sciti dell’Iraq settentrionale nell’anno Mille difesero la cittadella dall’invasione bizantina e un secolo dopo tutta la città dai crociati. Qui partì la revenge islamica del curdo Saladino che mise fine ai regni franchi d’Oriente. In diverse tornate tra Duecento e Quattrocento i mongoli la distrussero fino ai lunghi secoli di pace prospera imposta  dal Turco. Non è chiaro se l’attuale guerra di Siria assomigli ai conflitti imperiali, come tra Hittiti ed Egizi o tra Romani e Parti, tra Persiani e Mongoli; se sia invece una guerra di religione, o tra crociati e Curdi;  o se sia uno scontro interetnico come tra califfi Sciti e Sunniti, e tra questi e gli Armeni. Forse tutte queste cose insieme. Certamente il conflitto incorso ormai da un lustro, e che ha prodotto ca. 300mila vittime, non è compreso appieno in Toscana, Ile de France puranco in Bosnia Erzegovina; né se ne conoscono bene gli attori intervenuti, che vanno dalle grandi e medie potenze fino ad un groviglio di associazioni e movimenti armati di diverso profilo e vario estremismo. Come già avvenuto in passato, ogni tanto vengono propinati, al pedone europeo, battaglie, slogan, martiri relativi ad altri luoghi, altre religioni, altre genti e quasi sempre con motivazioni oscure. Mai una volta che si levino lai per il massacro di un gruppo di cristiani locali, di lavoratori nostrani o di turisti europei. Bisogna  invece solidarizzare con la donna condannata da giuristi della sua stessa fede, oppure  mostrare tristi bandiere a mezz’asta proprio mentre ad Aleppo sembra finito, almeno per il momento, il conflitto, cosa che implica progressivamente la fine delle uccisioni e distruzioni. Se il pedone europeo non capisce, invece casta politica e mediatica sanno bene perché si stia inscenando questa parodia di lutto continentale. Al Campidoglio si ostentavano le persiane martiri nel momento clou della campagna Usa anti Iran. Oggi a Livorno come a Parigi, tra bandiere all’ingiù e torri spente, dietro l’ipocrita richiamo alle vittime di Aleppo, si piange la sconfitta occidentale che aveva puntato sulla cacciata del rais sriano Assad e che se lo ritrova invece inaspettatamente  in sella sostenuto da un contradditorio fronte russo turco iraniano curdo. A prendere sul serio le notizie ricevute  finora, in 4 anni, i 2 milioni di abitanti di Aleppo avrebbero dovuti essere tutti morti. Invece solo nel quartiere occupato dalle forze antiAssad, costrette alla resa, sembra che gli abitanti siano sempre 250mila e che la città resti, nelle macerie, abitata da milioni di persone, magari ora meno popolosa della capitale Damasco. Il conflitto non ha raggiunto il livello di distruzione dell’ultimo grande terremoto di due secoli fa subito da Aleppo. Gli europei possono mettersi il cuore in pace e non essere così tristi, Chiunque vinca pone fine alla guerra che uccide sempre di più di qualunque repressione politica. Gli europei, sempre così pacifisti, potranno condividere i sentimenti di Aleppo, che non vedeva l’ora della fine dello scontro civile armato.

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