Milano 24 Dicembre – Non siamo mai stati tanto in pericolo, qui a Milano, come in queste ore. E non perché Amri, l’attentatore di Berlino, sia morto a Sesto San Giovanni. Ma perché era convinto che qui, nel quadrilatero delle moschee (costruite, da costruire, abusive e pluripremiate per l’integrazione) pensava potesse nascondersi con successo. Questo significa che l’immunità di gregge, così faticosamente costruita, è caduta, almeno in un angolo della città. Anche se, per dirne una, anche a San Siro non c’è molto da star sicuri. Questo ci deve tornare a far riflettere sul perché, in sedici anni, mai una volta siamo stati seriamente colpiti in territorio patrio. Esistono due teorie principali, ed una mia, sul perché:
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esiste un accordo informale con i terroristi. Noi li lasciamo passare, ma se si fermano perdono l’immunità. Così le associazioni maggiori, che conoscono l’accordo, attraversano, i piccoli gruppi credono di potersi fermare, e noi possiamo gestire solo questi ultimi. Non è una teoria che mi convinca molto. Sono finiti i tempi di Al Qaida dove, tra Bin Laden ed Al Zawahiri, c’era qualcuno con cui dialogare di queste cose. L’Isis non è ideologicamente in grado di farlo, non ne mostra alcun interesse, ma, soprattutto, non “controlla” i suoi soldati. Li indottrina e manda a morire senza secondi fini politici. È la strage in nome della strage. Il terrore per il terrore. L’obiettivo è mostrare agli infedeli, ma molto, molto di più ai fedeli, cosa succeda a chi tradisce la fede di Allah. Quindi mancano gli interlocutori per questo genere di accordi.
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La seconda teoria è quella di Luttwak. In sostanza in Italia noi abbiamo operato una sospensione dello Stato di diritto di fronte agli Islamici radicalizzati. Per cui se viene riferito di qualcuno di loro che comincia a proferire minacce ed invocare il Jihad, si avviano indagini specifiche volte a scoprire tutti gli elementi necessari per espellerlo. Così, prima che il mostro cresca, lo si abbatte sul nascere. È stata una strategia di indubbio successo, dice Luttwak. Ed io concordo, ma secondo me manca un elemento.
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La mia teoria fa sua quella di Luttwak e vi aggiunge un elemento. Soli in Europa, noi non abbiamo mai concesso alle comunità Islamiche di costruire luoghi di incontro grandi. Può suonare approssimativo come termine, ma “grande” è proprio la parola giusta. Certo, hanno le moschee. Ma sono molto piccole, salvo il caso di Roma, che essendo unica funge da innocua eccezione ad un regola importante. Hanno centri culturali, piccole madrasse. Ma sono, appunto, piccole, sparse e facili da controllare. Hanno delle associazioni. Piccole, frammentate e su base etnica. Questo, finora, ha reso il controllo capillare facile. Anche perché, mancando religiosi propriamente detti, anche i diritti dei singoli credenti sono stati facilmente accantonabili. Mancavano i santuari dove proteggerli. Ecco perché era, ed è, giusto, almeno pragmaticamente, avere grossi dubbi sulla costruzione di moschee…
Oggi, però, esiste una zona di Milano, almeno, dove tutte queste teorie sono negate. Amri a Sesto non intendeva passare, ma fermarsi. Fuori la prima. Amri non era stato espulso, quindi via la due. Amri aveva trovato a Sesto e nel Nord Milanese un santuario, costituito da un territorio saturo di zone franche. Create dal rifiuto di controllo capillare del territorio Milanese, in nome del “via Padova è il meglio di Milano” applicata anche a realtà tipo Sesto. Per cui, o torniamo a controllare il territorio o prepariamoci a contare i morti. I fratelli di Amri hanno sete. Sete di sangue.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,