Arrestati italiani radicalizzati per traffico di armi con Libia e Iran

Cronaca

Milano 1 Gennaio – L’accusa è: traffico di armi con Libia e Iran. 4 fermati, tra loro anche una coppia di italiani radicalizzati all’Islam. Vendevano di tutto, compresi missili e elicotteri. Contatti con i rapitori degli italiani in Libia.

Titti Beneduce su il Corriere della Sera fa i nomi:

Tra i fermati c’è l’industriale Andrea Pardi, titolare di una nota fabbrica di elicotteri e già coinvolto in un’altra inchiesta milanese. A San Giorgio a Cremano, vicino a Napoli, è stato invece fermato Mario Di Leva, che dopo la conversione all’islam si faceva chiamare Jafar. In manette anche la moglie, indagato a piede libero il figlio.

Il Nucleo Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Venezia, su ordine della Dda di Napoli, ha eseguito nelle province di Roma, Napoli, Salerno e L’Aquila il fermo di 4 persone indiziate di traffico internazionale di armi e di materiale ‘dual use’, di produzione straniera. Si tratta di tre italiani e un libico accusati di aver introdotto, tra il 2011 e il 2015, in paesi soggetti ad embargo, quali Iran e Libia, in mancanza delle necessarie autorizzazioni ministeriali, elicotteri, fucili di assalto e missili terra aria.

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La coppia di San Giorgio a Cremano.

Due italiani convertiti all’Islam (Mario Di Leva e Annamaria Fontana) e ‘radicalizzati’, una coppia di coniugi di San Giorgio a Cremano (Napoli), sono tra i destinatari dei provvedimenti di fermo disposti dalla Dda di Napoli. Anche un loro figlio risulta indagato. L’indagine, coordinata dai pm Catello Maresca e Luigi Giordano, riguarda un traffico di armi destinate sia ad un gruppo dell’Isis attivo in Libia sia all’Iran. Agli atti dell’inchiesta vi sarebbe anche una foto in cui la coppia è in compagnia dell’ex premier iraniano Ahmadinejad.

L’amministratore delegato della Società Elicotteri.

Figura anche l’amministratore delegato della Società Italiana Elicotteri, Andrea Pardi, già coinvolto un un’altra inchiesta su traffico di armi e reclutamento di mercenari tra Italia e Somalia, tra i quattro destinatari dei provvedimenti di fermo emessi dalla Dda di Napoli (pm Maresca, Giordano e Sirignano, quest’ultimo attualmente alla DNA). L’ultima misura cautelare riguarda un libico, attualmente irreperibile.

Gli italiani arrestati nel blitz contro la rete che avrebbe introdotto armi ed elicotteri in Iran e Libia violendo l’enbargo avrebbero avuto contatti con i rapitori di quattro connazionali sequestrati in Libia nel 2015.

La circostanza sarebbe venuta alla luce da alcuni messaggi WhatsApp di poco successivi al sequestro in cui i coniugi facevano riferimento alle persone già incontrate qualche tempo prima, alludendo a loro come autori del rapimento.

I messaggi risalgono alla sera del 22 luglio 2015 e Mario Di Leva scrive alla moglie Annamaria Fontana: «Hey hanno rapito quattro italiani in Libia». Annamaria: «Già fatto, notizia vecchia, già sto in contatto». Annamaria: «Ce li hanno proprio quelli dove noi siamo andati, già sto facendo, già sto operando con molta tranquillità e molta cautela». Il sequestro si concluse a marzo del 2016 con la morte di due italiani, Fausto Piano e Salvatore Failla mentre gli altri due rapiti, Gino Pollicandro e Filippo Calcagno, riuscirono a fuggire.

I pm non escludono «una loro possibile attività nel complicato meccanismo di liberazione che solitamente avviene tramite il pagamento di riscatti o la mediazione con altri affari ritenuti di interesse dai miliziani». Tra le foto sequestrate dagli inquirenti vi sono alcune immagini che riprendono i coniugi con elicotteri militari sovietici o con personaggi di rilievo di Paesi del Medio Oriente. Significative sono definite le foto di Annamaria Fontana ad un ricevimento a cui partecipò l’ex premier iraniano Ahmadinejad.

Contatti tra mala del Brenta e casalesi.

La prima fase dell’odierna operazione ha avuto avvio nel giugno 2011, su input del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata, in relazione ad un precedente procedimento penale instaurato presso la Procura della Repubblica di Napoli dalla quale è emerso che una persona organica ad un clan camorristico dell’area casalese era stato contattato da un appartenente alla cosiddetta “mala del Brenta” con precedenti specifici per traffico di armi. Quest’ultimo ricercava, infatti, persone esperte di armi ed armamenti da inviare alle Seychelles per l’addestramento di un battaglione di somali, che avrebbero dovuto svolgere attività espressamente qualificate come “mercenariato”. Le attività di indagine al tempo svolte, sfociate in diversi procedimenti penali, consentirono di evidenziare come la richiesta di addestramento fosse stata originata da una persona di nazionalità somala, con cittadinanza italiana, parente del deposto dittatore del Puntland (Somalia).

( BlitzQuotidiano )

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