Al PD il Congresso si è già celebrato il 4 dicembre

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Milano 6 Febbraio – Il problema di Matteo Renzi è di rifiutare di accettare che la data del 4 dicembre non ha segnato solo la sua sconfitta nel referendum sulla riforma costituzionale, ma ha rappresentato anche la sua condanna a rinunciare alla segreteria del Partito Democratico.

L’ex Premier, in sostanza, non vuole ammettere che con il referendum si è di fatto celebrato anche il congresso del proprio partito e che dal congresso la sua leadership è uscita pesantemente battuta.

Se all’indomani del 4 dicembre Renzi avesse deciso non solo di abbandonare Palazzo Chigi ma anche l’ufficio del Nazareno, oggi avrebbe tutte le carte in regola per proporre nuove primarie nel Pd e puntare alla rivincita immediata nel partito e nel Paese. Ma nell’illusione di poter continuare a mantenere la segreteria a dispetto di un congresso-referendum che lo aveva defenestrato, la sua proposta di primarie in alternativa al congresso appare destinata a non avere alcun effetto sulle diverse componenti dell’opposizione interna. Le primarie in vista del congresso avrebbero un senso se questo benedetto congresso non fosse stato già celebrato. Ma il risultato del 4 dicembre ha avuto un significato infinitamente più forte e chiaro di qualsiasi votazione finale di una qualsiasi assise nazionale del Pd. E oggi il dramma che si va consumando all’interno della sinistra è quello di un segretario sfiduciato che si aggrappa alla poltrona nel tentativo disperato di conservarla ad ogni costo ed a dispetto della volontà della maggioranza che lo ha giubilato.

L’“uno contro tutti” dei tre anni passati segnati dall’affermazione incontrastata del principio dell’uomo solo al comando, è diventato il “tutti contro uno” segnato dai voltafaccia anche di chi, come Giorgio Napolitano, lo aveva incoronato “uomo della Provvidenza”.

Per sopravvivere a breve, Renzi non trova di meglio che puntare alle elezioni da celebrare prima di un congresso dall’esito già anticipato da quello referendario. Nella migliore delle ipotesi rischia di ritrovarsi con un partito personale che non raggiunge il 20 per cento e con cui può solo sperare di fare il comprimario a fianco di alleati tutti ancora da inventare. Non sarebbe meglio per lui saltare un giro e tornare in pista senza macchiarsi agli occhi della sinistra e dell’intera opinione pubblica italiana dell’etichetta di ambizioso irresponsabile?

Arturo Diaconale (L’Opinione)

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