Milano 13 Febbraio – Il Signore delle arpe, con la esse maiuscola, vive a Villasanta. Michele Sangineto, 73 anni, ne ha passati gran parte degli ultimi 40 nel suo laboratorio. È qui, dove i sussurri della sua voce riverberano nelle casse armoniche che lo circondano prima di perdersi, che ha costruito centinaia di strumenti musicali in legno. “Un materiale vivo, che reclama rispetto”, spiega questo signore che riporta in vita salteri, arpe, viole organiste, galoubet. Strumenti andati persi, che si trovano solo in dipinti del XVI secolo, in bassorilevi del XII secolo o raffigurati nei codici compilati da Leonardo da Vinci.
Tra le sue creazioni, pezzi unici, irripetibili, un posto a parte lo meritano gli strumenti pensati e disegnati dal Genio Universale contenuti nel Codice Atlantico e in quello di Madrid. Dal primo ha tratto la viola organista, una sorta di clavicembalo, mentre dal secondo nasce la pila a vento continua, simile ad una pianola a fiato. Invece, dal quadro di Piero di Cosimo dal titolo La liberazione di Andromeda (1510-1513) che si trova agli Uffizi di Firenze, Sangineto ha creato un tamburin de Béarn, un tamburo a corde percosse, unito ad un flauto chiamato galoubet. Dall’affresco di Gaudenzio Ferrari per la cupola di Santa Maria dei Miracoli di Saronno (1534-1538), in cui è raffigurato un concerto di angeli, ha tratto una ribeca di canna lacustre. Uno strumento ad arco, precursore del violino, che infondeva ritmo alle danze. Ancora, dal bassorilievo della porta di Santiago de Compostela, che risale all’XI secolo, Sangineto ha realizzato un organistrum, una specie di chitarra ante litteram.
Originario di Albidona, paese dell’altopiano ionico in provincia di Cosenza, in tasca una diploma di ebanista, in mano una nomina come professore all’istituto d’arte di Monza, Sangineto arriva in Brianza 44 anni fa. “All’inizio non è stato facile, la gente mi faceva sentire fuori posto, anche poco gradito – racconta – . Sentivo il bisogno di farmi accettare da una società che non era la mia”.
Ed è in quel momento che, per caso, si avvicina alla musica. Il destino che spariglia le carte ha le sembianze di un tossicodipendente sdraiato in terra all’angolo di una strada. “Volevo dimostrare alle persone che non avevo rubato spazio e lavoro. Volevo rendermi utile. Ho chiesto a quel ragazzo cosa non andava – ricorda Sangineto – . Mi ha risposto che il suo strumento non funzionava. Gli ho detto che glielo avrei fatto uno io, ma più grande. Solo dopo ho scoperto che era uno zanza, uno strumento africano”. In poco tempo Michele Sangineto diventa l’angelo custode di molti di questi ragazzi e tutti gli chiedono uno strumento.
È l’inizio. Professore all’istituto d’arte per 36 anni, Sangineto conosce i pittori del Rinascimento italiano. Un giorno la sua attenzione si sposta dall’insieme al particolare. “Ho deciso che avrei dovuto costruire tutti gli strumenti raffigurati nel gruppo degli affreschi degli angeli musicanti”, racconta. Il processo è lungo e i primi risultati avrebbero stroncato tutti. Tutti tranne chi è animato da passione vera. “Gli strumenti non suonavano, o almeno non come mi ero immaginato. Allora ho iniziato a studiare fisica acustica e le cose sono cambiate”, dice il 73enne nascondendo il suo orgoglio dietro le note di una delle sue creazioni suonate da mani che hanno i calli di un artigiano.
La musica è il collante di casa Sangineto. È la lingua comune, il codice speciale della sua famiglia. I figli, i gemelli Adriano e Caterina, sono musicisti professionisti e compositori. Con loro e con la moglie Sangineto ha costituito l’ensemble che porta il suo cognome e che dal 2000 gira per l’Italia e l’Europa esibendosi in concerti di musica antica e popolare sulle note di spartiti che appartengono alla stessa epoca degli strumenti che costruisce. Il pezzo forte è la organista di Leonardo da Vinci suonata dal figlio Adriano e accompagnata dalla voce della gemella Caterina.
Nel corso degli anni, gli strumenti realizzati da Sangineto hanno trovato spazio anche all’interno di mostre allestite dalla galleria degli Uffizi, nella sala dedicata a Michelangelo e in Inghilterra, al Royal College di Londra. “A noi spetta il compito di guardare indietro nel tempo per cercare di capire come il pubblico di quel periodo veniva intrattenuto Se non lo facessimo perderemmo un’opportunità: rivisitare il passato significa capire il presente”.
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