Milano 25 Febbraio – «Parlando di Tangentopoli, l’Expo è la Fiat del terzo millennio». Milano, Porta Venezia. Davanti a un caffè scorre la stagione di Mani pulite. Rivisitata dallo sguardo acuto di Frank Cimini, 63 anni, giornalista che l’ha vissuta dal primo all’ultimo giorno, con i tempi supplementari di qualche querela da parte del pooI.

Nato a New Haven nel Connecticut, Cimini è considerato uno dei migliori cronisti di giudiziaria italiani e da 40 anni percorre gli scaloni in marmo del palazzo di Giustizia. Meglio spiegare subito il parallelo con Expo, che risale a 25 anni fa.
«Sulle magagne dell’esposizione universale finora si è indagato poco, esattamente come si fece sul ruolo della Fiat in Tangentopoli. Gianni Agnelli, che allora non aveva poteri formali all’interno dell’azienda, disse: «Dobbiamo uscìrne». Allora Cesare Romiti si presentò ad Antonio Di Pietro e, in un memoriale, elencò le tangenti che la Fiat aveva pagato, ma come poi emergerà da altre indagini quello rappresentò un inquinamento probatorio, perché erano più le tangenti nascoste da Romiti che quelle rivelate. Nei giorni seguenti si svolse una riunione negli uffici di Francesco Saverio Borrelli a cui partecipò anche l’avvocato Giandomenico Pisapia, il papà di Giuliano, legale dell’azienda, e da quel momento le indaginisi fermarono. La stessa cosa accadde per Carlo DeBenedetti, che presentò un memoriale in cui ometteva molte cose, ma si salvò».
La ricostruzione valse a Frank Cimini la prima querela di Mani pulite. L’articolo pubblicato dal Mattino di Napoli s’intitolava Latitante, torni domani, laddove il latitante era un manager torinese che, a differenza di tanti altri, non veniva mai interrogato.
Condanna in primo grado, assoluzione in Appello. E in tutto questo Expo cosa ci azzecca, per dirla con Antonio Di Pietro? «Allora i magistrati acquisivano potere facendo le inchieste, mentre la politica indietreggiava sempre più. Adesso acquisiscono potere non facendole e ricevendo in cambio il plauso della politica. L’ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che alla vigilia dell’Esposizione per due volte plaude al senso di responsabilità istituzionale della magistratura milanese, lascia interdetti. E’ evidente che c’è stata una moratoria per Expo, dove qualcosa è pure accaduto. Beppe Sala favorì Oscar Farinetti di Eataly, ma non c’era prova che ne avesse intenzione; il futuro sindaco fu archiviato senza neppure essere interrogato.
Sui fondi Expo Giustizia, Raffaele Cantone ha cominciato a guardare le carte adesso. In più c’è la faccenda della piastra con quei documenti falsi. Ma ormai Expo è acqua passata e Sala è sindaco di Milano. Amen». Di sicuro c’è che, da quella stagione, il potere della magistratura è aumentato in modo esponenziale, a tal punto che oggi gli ex pm non finiscono soltanto in Parlamento, ma anche nei cda delle banche, dei giornali, delle istituzioni culturali. Negli Stati Uniti un pm in pensione non se lo ricorda più nessuno, da noi c’è ben altra considerazione. E tutto deriva da ciò che accadde 25 annifa, dalla tangente di 7 milioni di Mario Chiesa. «Si capiva che avrebbe parlato, che botto! Doveva diventare sindaco di Milano. Però Mani pulite non nacque da quello che Bettino Craxi definì un mariuolo, ma dal battage mediatico che quell’inchiesta ebbe sui grandi giornali e sulle televisioni. E sa perché? Perché erano di proprietà di imprenditori con un buon numero di scheletri negli armadi, così cominciarono ad appoggiare Tangentopoli per salvarsi. Gettarono a mare i partiti e salirono sulle scialuppe dei Ci fu una moratoria dei colletti bianchi. Ovviamente tranne Silvio Berlusconi, che tre anni dopo diventò l’unico vero imputato. E non è finita: perché siamo al Ruby quater, come Aldo Moro. Ma lì la colpa è dei suoi avvocati che continuano a illuderlo. Non gli daranno ragione neppure a Strasburgo, perché è l’Europa ad averlo fatto fuori definitivamente ». La moratoria dei colletti bianchi aleggiò per anni sui giornali. Memorabile fu l’invito di Giuliano Spazzali a Di Pietro durante il tele processo a Sergio Cusani. «Se il dottor Di Pietro volesse farsi una passeggiata dalle parti di via Filodrammatici io lo accompagnerei volentieri», disse l’avvocato. In via Filodrammatici c’è Mediobanca. Il merito di Frank Cimini sta curiosamente nel titolo dell’autobiografia di Gherardo Colombo, Il vizio della memoria. Ha visto tutto, ricorda tutto. Anche i codici allungati e accorciati come elastici, anche sentenze singolari come quella Enimont: Sergio Cusani, che non aveva incarichi ufficiali, ebbe una condanna quasi doppia rispetto a Giuseppe Garofano, che ne era presidente. Mani pulite non fu l’epica passeggiata in Galleria che i giornali hanno raccontato. Tutti allineati, anche loro in pooI. «Ma non erano i giornalisti a fare pool, a uniformare le notizie», spiega Cimini.
«Erano i direttori. Il famoso patto fra il Corriere della Sera, la Repubblica, la Stampa e l’Unità si concretizzava la sera nella composizione dei titoli di prima pagina, come ha rivelato Piero Sansonetti, che allora era in prima linea all’Unità. Alcuni lo definiscono un patto indecente: per me era del tutto naturale e andava nella direzione degli interessi degli editori. Oggi la vera separazione delle carriere dovrebbe essere quella fra giornalisti e magistrati ». Alla fine non possiamo dire che la corruzione sia diminuita, non possiamo dire che la politica abbia colto il senso della lezione e che la magistratura sia rapida, equa ed efficace. E allora cosa ci resta di Mani pulite, 25 anni dopo? «Se la procura di Milano vuole commemorare Mani pulite» dice Cimini, «ponga una targa al quarto piano con la frase simbolo: “Di Pietro e Lucibello mi hanno sbancato”, firmato Chicchi Pacini Battaglia. Oppure chieda al Comune di intitolare una via. Via della Mercedes»
(Giorgio Arnaboldi – La Verità)
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