Milano 1 Marzo – Per quanti pasticci possa combinare Donald Trump, la sua elezione ha già avuto un merito indiscutibile: far saltare il tappo delle ipocrisie di cui ci eravamo circondati per fingere di essere più buoni di quel che siamo, e di vivere in un mondo migliore di quello che è. In altri termini, a noi europei piace sentirci “progressisti”, a patto però di vivere da “populisti”.
Prendiamo una questione assai significativa in proposito, quella dei migranti. Donald Trump ha preso due decisioni: prolungare il muro ai confini con il Messico ed espellere “almeno 3 milioni di immigrati clandestini”. Lui è un populista, giusto? Ma allora Barack Obama, che tra il 2009 e il 2015 ha espulso 2,5 milioni di immigrati clandestini, che cos’era? E il famoso muro? Si cominciò a costruirlo nel 1994, regnante il presidente Bill Clinton. E nel 2006, regnante George W. Bush, il Congresso approvò quel Secure Fence Act che oggi consente a Trump di procedere col muro senza passare per un voto parlamentare. Nel 2006 quell’Act passò anche grazie al voto favorevole di 25 senatori del Partito democratico, tra i quali Hillary Clinton (Stato di New York) e Barack Obama (Illinois).
E che cos’erano gli americani che per tutti quegli anni hanno tenuto la bocca chiusa sulle espulsioni di immigrati irregolari (Obama fu assai più severo di Bush, in proposito) e adesso giurano di volerli proteggere? E che non possono nemmeno tollerare la parola “muro”? Erano come noi europei.
Eh già, perché noi siamo i primi a parlare da progressisti mentre viviamo da populisti. Tutti coloro che si occupano seriamente di migrazioni conoscono tre fatti. Uno: da almeno 35 anni circa il 3% della popolazione mondiale è migrante, quindi si tratta di un fenomeno continuo, ormai storico. Due: le migrazioni riguardano quasi tutte le zone del mondo (dal Golfo del Bengala al confine Messico-Usa, dalla Russia all’Africa sub-sahariana) e quindi non potevano non riguardare anche noi satolli vecchietti europei, che abbiamo di fronte due macro-regioni piene di giovani spesso disperati come Medio Oriente e Africa. Tre: tutti i demografi avvertono che, avendo l’Europa un forte problema di denatalità, tra due o tre decenni rischiamo di essere il 20% in meno, con le fabbriche da far girare e una marea di anziani ai quali provvedere.
Un politico progressista direbbe: cari europei, visto che le esigenze sono quelle ma non facciamo figli, dobbiamo prenderci una certa quota di figli altrui. Per il bene nostro e anche loro. Crepa se trovi un politico che abbia questo coraggio. E siccome il coraggio chi non ce l’ha non se lo può dare (copyright Alessandro Manzoni), fanno tutti i populisti, rinunciando a qualunque discorso che c’entri con la realtà econ la ragione ma tentando di farci credere che le attuali soluzioni siano all’insegna della pietas e dei valori umani.
Ci dicono, per esempio, che abbiamo raggiunto un ottimo accordo con la Libia di Fayez al-Sarraj (dopo aver distrutto, sei anni fa, la Libia di Gheddafi con il quale avevamo concluso esattamente lo stesso patto) per il contenimento dei migranti dall’Africa. Facendo finta di non sapere che Al-Farraj comanda si e no a Tripoli, che solo qualche giorno fa hanno cercato di fargli la pelle, che la corruzione delle milizie è trionfante, che alla fin fine si tratterà comunque di chiudere i migranti in campi profughi simili a campi di detenzione ecc. ecc.. E soprattutto non dicendo che quello che si ipotizza in quell’accordo è, molto semplicemente, la costruzione di un muro come quello tra Usa e Messico ma in casa d’altri, cioè in Libia.
Qual è, in buona sostanza, la differenza tra un migrante colombiano o messicano che vuole entrare negli Usa e un migrante eritreo o nigeriano (nazionalità prevalenti tra quelli che sbarcano da noi) che vuole arrivare in Italia per andare poi in Germania o in Svezia? Ciò che vogliamo è dare soldi e mezzi e istruttori ad Al-Farraj perché li blocchi lui, quei migranti. Con i droni, i poliziotti, i miliziani, le camionette. Un muro semovente ma sempre un muro. Il gemello di quello che abbiamo “costruito” in Turchia, pagando Recep Erdogan (che ogni giorno qualifichiamo come brutale dittatore) perché blocchi i migranti in uscita dalla Siria.
Se poi facciamo il conto dei muri, Europa progressista batte Usa populisti per un tot a uno. Oltre ai due in Libia e Turchia, abbiamo tirato su muri anti-migranti tra Francia e Regno Unito, tra Ungheria e Serbia, tra Bulgaria e Turchia, tra Norvegia e Russia, tra Macedonia e Grecia. Voleva tirarne su uno anche l’Austria per proteggersi da noi, si è poi accontentata di schierare 2.200 soldati al confine. Altrettanto ha fatto la Francia per bloccare i migranti a Ventimiglia. Un muro l’ha costruito la Spagna nella sua enclave africana di Melilla.
Vedete marce di donne contro queste realtà? Cineasti indignati? Bono? La Ue ha mai preso provvedimenti per sanzionare i Paesi che boicottano il piano continentale per la redistribuzione di 120 mila richiedenti asilo, diventato operativo nel settembre 2015 e penosamente fallito? No, perché alla fin fine, pur con vergogna, preferiamo vivere da populisti.
E si badi bene: da ricollocare sono solo i richiedenti asilo. Perché per i migranti economici (tipo quelli che entrano negli Usa da irregolari) che vengono beccati c’è un solo destino, ed è un destino “alla Trump”: l’espulsione. Nel 2014 ne sono stati espulsi dalla Ue più di 400 mila, altrettanti nel 2015. E nel 2016 è stato studiato un nuovo regolamento comunitario per rendere più spedito il processo di espulsione. Ma per loro non si è commosso nessuno. Proprio come non si commuoveva nessuno, prima di Trump, nemmeno negli Usa.
Fulvio Scaglione (Linkiesta)
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