Carta d’identità elettronica: la rivoluzione tecnologica non decolla, ce l’hanno solo in 300mila

Cronaca

Milano 17 marzo – La prima si sfaldava, letteralmente. Due strati di plastica e in mezzo una banda ottica. Dopo un po’ che la tenevi in tasca, si apriva. L’ultima ha il chip, non è clonabile, contiene l’impronta digitale, può portarsi dietro anche la cartella sanitaria, risponde a standard internazionali di identificazione. E potenzialmente può fare di tutto: aprire i varchi in stazioni, aeroporti e stadi, rendere dura la vita ai furbetti del cartellino, semplificare l’acquisto a rate, velocizzare i trasporti su bus e metro. Vent’anni dopo il primo progetto e dodici normative diverse, anche l’Italia ha la sua carta d’identità elettronica. O meglio ce l’hanno 300 mila cittadini di 199 Comuni. Con la promessa di coprire tutto il territorio nazionale nel 2018. E arrivare così nel giro di 8-9 anni a sostituire tutto il cartaceo, a ritmi di 7-8 milioni di tessere all’anno. Ce la faremo? La sperimentazione attuale parla di lentezze e disagi. I cittadini non conoscono la nuova card. Le amministrazioni non riescono a ncora ad attrezzarsi. Piccoli centri (Ancona, Perugia, Ragusa) talvolta meglio dei grandi (Genova e Bari).

UN’ODISSEA – Il primo progetto risale al 1997. L’Italia come avanguardia. Poi però tutto è naufragato. “Non solo i materiali non erano adatti, ma la realizzazione della carta ruotava attorno alla tecnologia proprietaria di un’azienda privata, la Laser memory card, nonostante fosse un progetto dello Stato, con tutte le pesanti limitazioni di sicurezza e gestione”, racconta Paolo Aielli, dal 2014 amministratore delegato dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. Poi arriva la sperimentazione delegata ai Comuni. E qui iniziano i problemi. Tempi improbabili di prenotazione. Sportelli dedicati assai limitati. Stampanti funzionanti a giorni alterni. Prodotto scadente e inservibile.

LA SVOLTA – Alla fine del 2015, si cambia. Un decreto del ministero dell’Interno centralizza l’operazione. La Cie, la carta d’identità elettronica, si basa su una tecnologia aperta e materiali nuovi, come il policarbonato. E soprattutto si produce in un posto solo, a Roma sulla via Salaria, nello stesso stabilimento della Zecca che sforna permessi di soggiorno, passaporti, tesserini per gli statali. Ci lavorano mille persone, tra contraffazione e documenti. Funziona così: il cittadino va allo sportello comunale, fa la domanda, lascia l’impronta digitale, paga 22 euro. I suoi dati arrivano subito al Viminale e alla Zecca. Entro 6 giorni – “ma in media dopo 4-5 giorni” – riceve la Cie per posta. Le informazioni personali rimangono sulla card, non vengono custodite in alcuna banca dati.

A MACCHIA DI LEOPARDO – Recuperare il tempo perduto non è facile. Siamo ancora in “fase pilota”, conferma il ministero della Pubblica amministrazione. Ai 199 Comuni già coinvolti, un quarto della popolazione italiana, se ne affiancheranno altri entro settembre fino a raggiungere quota 400 città e metà degli italiani. Prima della fine dell’anno saremo a 1.700 Comuni. E ad agosto 2018 tutti e 8 mila i campanili, con 10.500 postazioni attivate e 20 mila card al giorno emesse. Un’impresa titanica, ma “realistica” per Aielli a cui spetta sovrintendere allo stampaggio. E forse “bruceremo anche i tempi, perché questa carta sarà sempre più richiesta, quando se ne scoprirà il potenziale”.

DOPPIO BINARIO – Per ora infatti la versione cartacea non è bandita (sebbene sia la più contraffatta d’Europa). La può chiedere chi ha fretta e deve partire. Costa meno, poco più di 5 euro, pari ai soli diritti di segreteria che vanno ai Comuni. La Cie costa di più, 22 euro (e ogni 10 anni si cambia, come ora). La differenza si spiega così, Iva a parte: 4 euro e mezzo per la spedizione, 8 euro e mezzo di costi industriali per la realizzazione e gestione dei sistemi informativi. Soldi che il Poligrafico gira poi al ministero dell’Economia. Per l’operazione “Cie 3.0”, come la chiamano al ministero della Pa, il governo Renzi ha stanziato 65 milioni nel quinquennio 2016-2021, rinnovabili per analogo periodo. In totale, circa 130 milioni nel decennio.

LA SICUREZZA – La carta elettronica garantisce un livello di “sicurezza 3”. “Nessun altro può farlo”, spiega ancora Aielli. Lo Spid, la chiave unica di accesso digitale ai servizi pubblici anch’essa ai blocchi di partenza, è di livello 2. “Lo Spid assicura l’accesso, la Cie invece certifica l’identità”. È certo però che i due grandi progetti di riforma dovranno convergere. La carta dotata di pin consentirà di accedere agli stessi servizi oggi aperti dallo Spid, dal fisco all’Inps ai bonus del governo. Anche se, avverte il ministero della Pa, “la diffusione dei dispositivi di lettura per l’autenticazione dei servizi online è pressoché nulla”. Veloci, ma non troppo.

Valentina Conte (Repubblica)

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