Milano 29 Marzo – “È stata la via Crucis di Emanuele…hanno anche sputato sul corpo a terra…”. Prende fiato e tempo Pietro Morganti, lo zio di Emanuele, il 20enne massacrato di botte, anche con un corpo contundente (pare fosse un paletto in ferro e/o una grossa chiave inglese), all’esterno di una discoteca di Alatri nella notte tra venerdì e sabato e poi morto in ospedale a Roma. Lo riport un reportage dell’agenzia di stampa Agi.
Misura le parole ma poi le tira fuori, e all’Agi parla di “esecuzione. I testimoni ci hanno detto che lo picchiavano ovunque, lui ha provato ad andare via con la fidanzata, poi è caduto e l’hanno finito…”. Pietro è finora l’unico della famiglia che parli, cerca di fare barriera e di far sì che il padre e la madre di Emanuele, come pure sorella e fratello della vittima, possano stare al riparo – per quel che serve – dal cronista, dall’assedio di tv, dalle domande. Gente semplice, che ti accoglie in casa, a Tecchiena Castello, frazione di Alatri, e ti fa vedere che li’ sono tutti così, semplici. In case di campagne, tra attrezzi agricoli sparsi e animali. La casa di Emanuele è a qualche centinaia di metri, in via del Convento. L’accesso è interdetto, genitori, sorella e fratello sono chiusi dentro, avvolti in un incubo, in un dolore che neppure Pietro riesce a descrivere nella sua interezza. C’è un medico in quella casa: Lucia, la mamma di Emanuele, è malata, deve affrontare cicli di cure chemioterapiche.
Il padre lavora al Pantheon, a Roma, e di recente aveva avuto in dono, di seconda o terza mano, un’auto. Quella con cui Emanuele venerdì aveva preso la fidanzata Ketty ed era andato nel centro storico di Alatri, destinazione la discoteca Mirò. Poi è finita in massacro, vittima del branco. Lo zio della vittima riferisce al cronista quello che chi c’era gli ha detto a sua volta, e cioè “l’hanno pestato a sangue, a morte. Gli hanno sputato, l’hanno calpestato. Una ragazza che era nel gruppo ha detto ‘questo è quello che ti meriti’. Ma perché, per cosa? Non c’era mai stato nulla prima”. Un giovane che ha provato a prendere le difese di Emanuele è stato a sua volta picchiato ed è finito in ospedale: i carabinieri hanno raccolto anche la sua testimonianza.
Come quelle di altri e come quella di Ketty. “Chi arrivava, menava…è orribile quanto avvenuto”, aggiunge Pietro Morganti. Che parla del ruolo svolto nella brutale vicenda in particolare da due giovani italiani e di un uomo che a sua volta impediva che qualcuno si lanciasse in soccorso di Emanuele. C’è anche la zia della vittima che dice qualcosa, ed è più netta del marito: “Devono pagare, devono soffrire come ha sofferto lui, devono sentire addosso che significa il dolore, minuto dopo minuto. Hanno avuto il coraggio di dire che era inciampato da solo in un sampietrino…”.
La certezza della pena è quello che viene invocata, “questa cosa ha straziato tutti – dice la donna – è inconcepibile”. I genitori della vittima volevano donare gli organi di Emanuele, quello che si poteva ancora salvare per dare vita ad altri. Hanno subito detto sì quando i medici glielo hanno chiesto staccando i macchinari. Ma non è possibile farlo. Esigenze istruttorie lo impediscono. Resta comunque il forte significato di quel si’ detto nonostante l’orrore per un figlio perso, ucciso così. (Huffington Post)
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