Ieri, a reti unificate e con grande squillar di trombe, è stato annunciato che la scuola Italiana è la migliore al mondo. Ovviamente non è così, ma suonava così bene l’annuncio che nessuno è andato davvero a controllare cosa dicesse l’Ocse. No, la scuola pubblica Italiana non è la migliore del mondo, se vogliamo intendere così la preparazione fornita, la qualità del sapere e la sua attinenza al mondo del lavoro. No. La scuola Italiana è la migliore al mondo perché rompe le gambe irrimediabilmente pure ai figli dei ricchi. Che, alla fine, ne escono tali e quali a tutti gli altri. Evviva. Un risultato invidiabile. Ed il motivo, molto semplicemente, è che in questo paese una scuola davvero privata non esiste. Quelle che ci sono rincorrono il sogno della parità ed il riconoscimento dello Stato. Quindi, di riflesso, l’omologazione. Quella pubblica, invece, è un grande parcheggio per gente che non vuol essere giudicata né valutata e dove i giovani vengono tutelati dal Wwf, in quanto specie in via di estinzione. Questo perché, di riforma in riforma, l’obiettivo non è mai stato l’efficientamento, lo svecchiamento o la promozione del merito. Ci si è, semplicemente, addormentati sugli allori e si è lasciato che a decidere fossero i nostri beneamati sindacati. I quali hanno creato un ambiente dove il principale obiettivo dell’istituzione fosse l’accompagnamento dolce ala pensione. Dolce, cioè, con poche responsabilità, limitatissimo aggiornamento e nessun obbligo formativo. Insomma, saranno pagati poco (ed anche qui potremmo parlarne), ma il corrispettivo richiesto di norma non causa crisi di stress.
Esistono, poi, eccezioni, come ad esempio l’Istituto Molinari, a Milano. Repubblica ce lo descrive così:
Sono le 8 di mattina. Suona la campanella e i ragazzi entrano a scuola strisciando il badge su uno dei due totem all’ingresso. Un modo per velocizzare l’appello: le presenze finiscono direttamente sul registro elettronico. E se si dimenticano? “Alla terza volta scatta la nota”, spiega un docente. Intanto lo schermo dice allo studente se è in ritardo. Poi potrà far firmare la giustificazione ai genitori, come si è sempre fatto. Ma non serve portarla a scuola, si può usare una app. Ma all’istituto tecnico Molinari di Milano, periferia Est della città, la rivoluzione tecnologica non si ferma all’ingresso.
Per la rivoluzione tecnologica, l’istituto, per ora, ha investito 92mila euro in due anni, oltre ai fondi europei e ai contributi ministeriali. Sono partiti con il cablaggio e mettendo il wifi in tutto l’istituto. Dall’anno scorso si chiede agli studenti di dotarsi di un dispositivo personale. Così, spiega Ippolito, non si è più legati a un luogo per connettersi e “si supera anche il concetto di laboratorio, perché tutto può essere fatto anche in classe”. L’anno scorso la preside, Marzia Campioni, accompagnata da uno dei tecnici, è andata fino in Olanda, per scegliere le e-Board per l’istituto. Ma sono stati fatti anche dei corsi obbligatori di aggiornamento per i docenti su come usare le lavagne e su come ribaltare il modo di insegnare, superando la lezione frontale e coinvolgendo gli studenti. Per la preside bisogna trovare un modo di fare attività didattica che sia comprensibile per gli studenti di oggi perché quello che prevede “la lavagna e il gesso non lo è più”.
Io ho solo due riflessioni da fare: 1. Se fossero sopravvissute delle descrizioni di come i primi indigeni del Sud America hanno visto Cristoforo Colombo, il tono sarebbe stato probabilmente questo 2. Il Molinari è l’eccezione suprema. E rende il contrasto con le altre scuole ancora più stridente. Perché dimostra che si può modernizzare. Se si vuole. E che, di converso, quando non lo si fa, è perché non si vuole.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,