Il corpo nello spazio. L’artista Adrian Paci in galleria a Milano

Cultura e spettacolo

Milano 18 Aprile – In occasione di Miart e in concomitanza con la personale The Guardians ai Chiostri di Sant’Eustorgio, è stata presentata presso la galleria Kaufmann Reperto di Milano The people are missing, una mostra che porta alla luce la relazione tra politica, individualità e spazio. Adrian Paci sceglie come punto di partenza l’analisi del soggetto massivo, conducendo lo spettatore in un percorso che termina con lo studio del Adrian-Paci-Untitled-2014-watercolor-on-paper-235×317-cm-Courtesy-of-the-artist-and-kaufmann-repetto-Milansoggetto singolo. Il corpo collettivo ed enigmatico che occupa i grandi spazi urbani è quello in scena in Interregnum. Questo video mette insieme momenti estrapolati dalle celebrazioni di funerali di dittatori comunisti di varie nazionalità, recuperati in archivi e televisioni nazionali.
Il corpo di cui l’artista racconta, in questo caso, è quello politico, che agisce in sincrono con la volontà imposta dal regime. Con la sua morte, il leader lascia il posto a un altro potente protagonista della scena pubblica, il dolore, che muove la massa. Nella serie fotografica Malgrado Tutto, a lasciar parlare lo spazio sono le scritte sui muri delle celle di un carcere albanese: come in un diario, i segni raccontano la reclusione dei detenuti.

Adrian Paci avrebbe potuto proseguire su questa linea, continuando a suggerire al pubblico spazi e corpi, come avviene nella project room: una vecchia doccia a gasolio lascia cadere acqua nello spazio bianco. Nello spazio desolante, il nudo è assente ed è abilmente suscitato nell’immaginario di chi guarda. L’artista sceglie invece di avvicinarsi ancora di più ai visitatori, forse peccando di didascalismo. Calcando la mano sulla necessità di relazioni e di dialogo, crea uno spazio simile al teatro greco, con una doppia scalinata in legno bianco messa a disposizione del Adrian-Paci-The-people-are-missing.-Galleria-kaufmann-repetto-Milano-2017pubblico. Si tratta di un luogo reale che può essere usato per riposare, leggere o conversare.
Eppure, l’invito a un dialogo fisico e concreto, necessario in questo momento storico, è già chiaro nel resto dell’installazione: il visitatore è continuamente esortato a creare nel suo immaginario spazi enormi o piccoli, politici o intimi. L’artista non sembra tener conto della dimensione relazionale che si crea spontaneamente tra gli spettatori e l’installazione, ma desidera esplicitarla ancora di più. Lo spazio espositivo e l’effettiva occupazione che i corpi del pubblico attuano nella galleria è già di per sé un dialogo. La creazione di uno spazio di confronto, all’interno di uno spazio di confronto già di per sé funzionante, rende artificiosa l’interazione tra il pubblico e la scalinata.

Carolina Mancini (Artribune)

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