Milano 30 Aprile – «Non potevamo più restare a guardare le immagini dei continui drammatici naufragi nel Mar Mediterraneo […] Mentre continuiamo a chiedere agli Stati una “coalizione umanitaria” per avere vie legali e sicure per arrivare in Europa e chiedere protezione umanitaria, abbiamo deciso di intervenire nel momento più rischioso del viaggio dei migranti». Questo semplice messaggio è l’inizio di una lunga lettera che la Croce rossa italiana ha pubblicato sul suo sito Web nel giugno 2016. Il periodo, non è casuale: siamo alle porte dell’estate, in un momento in cui le coste italiane sono quotidianamente investite dagli arrivi di clandestini e Croce rossa si prepara a salire a bordo delle navi del Moas (Migrant offshore aid station) per offrire assistenza sanitaria ai migranti salvati dai barconi provenienti dalla Libia.
CARTE BOLLATE
Fin qui, nulla di nuovo. O quasi. La Verità è tuttavia in grado di provare che per questo servizio di cooperazione umanitaria, Croce rossa ha stilato un lungo contratto con il Moas che prevede sì, una collaborazione, ma dietro un compenso versato direttamente dalle casse di Cri alla Ong con sede a Malta. La stessa Moas che oggi è al centro di alcuni controlli da parte del procuratore capo di Catania, Carmelo Zuccaro. Per salire sulle navi che, a quanto sostenuto dai vertici della Ong, salverebbero i migranti provenienti dalle coste libiche, Croce rossa ha pagato da giugno a dicembre del 2016 ben 300.000 euro. Come dimostra anche il documento che La Verità pubblica in esclusiva e che rappresenta il primo contratto stilato tra l’associazione di soccorso italiana e la creatura della famiglia Catrambone. Come si legge nel documento, che è stato discusso nella primavera del 2016 dall’ammiraglio Franco Potenza (Director plans and operations del Moas, a capo della nave Phoenix) e Christopher Catrambone, fondatore del Moas, Croce rossa doveva portare sulle navi del Moas (nello specifico del contratto, la Phoenix) un team sanitario e il materiale necessario per interventi medici e di assistenza a fronte di un contributo versato sotto forma di donazione di 300.000 euro. Il Moas, di suo, metteva invece a disposizione non solo le navi e i posti letto per i migranti soccorsi, ma anche dei dronì utilizzati per intercettare e seguire i barconi libici fin dalla loro partenza dalla costa africana. Dopo averli seguiti passo a passo, la nave incaricata dalla Ong caricava a bordo i disperati, curava chi necessitava di assistenza e li portava sani e salvi sulle coste italiane. L’importante contributo economico di Croce rossa, come si legge da contratto, prevedeva versamenti a colpi di 50.000 euro al mese, con scadenze ben precise: la prima tranche entro il 14 luglio 2016, la seconda non più tardi del so luglio, la terza entro il 30 di agosto, e così via, fino ad arrivare a novembre 2016. Nel documento, corposo e molto dettagliato, sono riportati anche l’Iban a cui effettuare i versamenti e la banca di riferimento: la Lombard Bank Malta plc, Questo contratto stipulato tra Croce rossa e Moas sembra quindi, in tutto e per tutto, testimoniare un rapporto istituzionale tra l’associazione italiana e la Ong maltese che, in questi anni, avrebbe firmato contratti simili con la Cri anche per altre navi utilizzate durante i soccorsi, tra cui la più nota è la Topaz Responder che, tra l’equipaggio, aveva imbarcato alcuni giornalisti internazionali per testimoniare l’impegno dell’Ong nel salvataggio dei migranti.
STRATEGIA BUONISTA
E anche questo dettaglio non è del tutto casuale. Nel contratto, infatti, basta scorrere fino all’allegato F per trovare un lungo elenco di punti in cui viene sottolineata and identìfìcatìon». In parole povere, la copertura mediatica di tutta la questione. Come si legge chiaramente nei punti 2 e 3 dell’allegato, Croce rossa e Moas cooperano anche in questo settore offrendo piena trasparenza e collaborazione con gli organi di stampa interessati nel racconto delle missioni di salvataggio con un particolare: «Umanizzare la narrazione dei migranti e dei richiedenti asilo, cercando di eliminare qualsiasi accezione negativa riguardo i salvataggi via mare». Il concetto, scritto in linguaggio quasi giuridico, può sembrare complesso, ma in realtà è semplicissimo: i migranti sono persone che rischiano la loro vita per arrivare in Europa. Non importa la loro religione, il sesso, la nazione d’origine. Il rischio esiste e le Ong svolgono solo il loro dovere di «salvatori ». Per questo motivo, il Moas sulle sue navi ha sempre un giornalista incaricato di filmare e fotografare ogni fase dei salvataggi con immagini rigorosamente coperte da copyright e condivisibili, anche con Croce rossa, solo previa richiesta. Nelle 21 pagine di contratto, è inclusa nella sezione dieci anche una polizza assicurativa medica per il team di Croce rossa, pagato dal Moas. La polizza è stata sottoscritta con la Osprey insurance brokers, una compagnia assicurativa con sede a La Valletta e che dal 2015 fa parte del Tangiers Group. Che, guarda caso, è capitanato dagli stessi «salvatori di vite» del Moas: Regina e Christopher Catrambone.
DOMANDE
A suscitare altre domande sulla regolarità di questo contratto è l’allegato E, in cui si discute, a lungo, di «non disclosure agreement », ovvero un accordo di riservatezza. «L’accordo è stipulato tra Croce Rossa e Moas e la missione di questo accordo è proteggere e preservare le informazioni tra le due parti che hanno l’obbligo di mantenere la riservatezza sui materiali condivisi e il divieto di divulgarli a terzi» . La Moas di Regina e Christopher Catrambone, dal 2014 a oggi ha salvato più di 33.000 vite grazie alle due navi Phoenix e Topaz Responder. Croce rossa, per sei mesi di attività su una di queste due imbarcazioni ha pagato 300.000 euro. Una cifra che oggi solleva un dubbio lecito: quanti altri contratti di questo tipo e con quante altre associazioni vengono sottoscritti ogni giorno?
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Marianna Baroli (La Verità)
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