Milano 11 Maggio – Rivoluzione copernicana della Cassazione sull’assegno di divorzio che fino ad oggi, con 30 anni di indirizzo costante, era collegato nella sua entità al parametro del «tenore di vita matrimoniale», una pietra miliare che da oggi va in soffitta e lascia il posto a un «parametro di spettanza» basato sulla valutazione dell’indipendenza o dell’autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede. Il matrimonio non è più la «sistemazione definitiva»: sposarsi, scrive la Corte, è un «atto di libertà e autoresponsabilità».
Con la sentenza 11504, depositata oggi dalla Cassazione e relativa al divorzio tra un ex ministro e una affascinante imprenditrice, i supremi giudici hanno respinto il ricorso con il quale la ex moglie chiedeva l’assegno di divorzio già negatole con verdetto emesso dalla Corte di Appello di Milano nel 2014 che aveva ritenuto incompleta la sua documentazione dei redditi e valutato che l’ex marito dopo la fine del matrimonio aveva subito una «contrazione» dei redditi.
Ad avviso dei supremi giudici, la decisione milanese deve essere corretta in motivazione perché a far perdere il diritto all’assegno alla ex moglie non è il fatto che si suppone abbia redditi adeguati, ma la circostanza che i tempi ormai sono cambiati e occorre «superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come ‘sistemazione definitiva’ perché è «ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile». «Si deve quindi ritenere – afferma la Cassazione – che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale».
Ecco i principali «indici» – forniti dal verdetto 11504 della Cassazione sull’assegno di divorzio – «per accertare» la sussistenza, o meno, «dell’indipendenza economica» dell’ex coniuge richiedente l’assegno e quindi l’adeguatezza, o meno, dei «mezzi», nonché la possibilità, o meno, «per ragioni oggettive, di procurarseli.
Sono quattro: «1) il possesso di redditi di qualsiasi specie; 2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri ‘lato sensù imposti e del costo della vita nel luogo di residenza, inteso come dimora abituale, della persona che richiede l’assegno; 3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro indipendente o autonomo; 4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione».
Tocca all’ex coniuge che chiede l’assegno, «allegare, dedurre e dimostrare di non avere i mezzi adeguati e di non poterseli procurare per ragioni obiettive». «Tale onere probatorio – spiega la Cassazione – ha ad oggetto i predetti indici principali, costitutivi del parametro dell’indipendenza economica, e presuppone tempestive, rituali e pertinenti allegazioni e deduzioni da parte del medesimo ex coniuge, restando fermo, ovviamente il diritto all’eccezione e alla prova contraria dell’altro» ex coniuge al quale l’assegno è chiesto. In particolare, prosegue la Suprema Corte, «mentre il possesso di redditi e cespiti patrimoniali formerà oggetto di prove documentali, soprattutto le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale formeranno oggetto di prova che può essere data con ogni mezzo idoneo, anche di natura presuntiva, fermo restando l’onere del richiedente l’assegno di allegare specificamente (e provare in caso di contestazione) le concrete iniziative iniziative assunte per il raggiungimento dell’indipendenza economica, secondo le proprie attitudini e le eventuali esperienze lavorative».
«La Cassazione – sottolinea in una nota l’avvocato Gian Ettore Gassani, presidente dell’associazione degli avvocati matrimonialisti – ha cambiato il criterio per riconoscere l’assegno al coniuge economicamente più debole e ha ritenuto che non sia più possibile valutare come parametro il tenore di vita dei coniugi goduto in costanza di matrimonio. Secondo gli ‘ermellini’, l’assegno divorzile può essere riconosciuto soltanto se chi lo richiede dimostri di non poter procurarsi i mezzi economici sufficienti al proprio mantenimento. Viene spazzato via un principio sancito nel 1970 dalla legge 898 che ha introdotto il divorzio in Italia. Si tratta quindi di un terremoto giurisprudenziale in linea con gli orientamenti degli altri Paesi europei nei quali l’assegno divorzile dipende essenzialmente dai patti prematrimoniali», conclude Gassani. (Il Messsaggero)
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