Milano 18 Maggio – Se negli anni ’70 la classe operaia andava in paradiso, oggi è praticamente scomparsa. Almeno nella percezione di chi potrebbe farne parte. La perdita del senso di appartenenza a una certa classe sociale – emerge dal Rapporto annuale 2017 dell’Istat – è più forte per la piccola borghesia e la classe operaia. Quest’ultima ha perso il suo connotato univoco e si ritrova per quasi la metà dei casi nel gruppo dei giovani blue-collar e per la restante quota nei due gruppi di famiglie a basso reddito, di soli italiani o con stranieri.
Una società più fluida
La classe operaia e la classe media – si spiega nel Rapporto – sono sempre state le più radicate nella struttura produttiva del nostro Paese. Oggi la prima ha abbandonato il ruolo di spinta all’equità sociale mentre la seconda non è più alla guida del cambiamento e dell’evoluzione sociale (in termini sia produttivi sia di costumi). Una delle ragioni per le quali ciò è avvenuto è la perdita dell’identità di classe, legata alla precarizzazione e alla frammentazione dei percorsi lavorativi, ma anche al cambiamento di attribuzioni e significati dei diversi ruoli professionali. Interi segmenti di popolazione non rientrano più nelle classiche partizioni: giovani con alto titolo di studio sono occupati in modo precario, stranieri di seconda generazione che non hanno il background culturale dei genitori, stranieri di prima generazione cui non viene riconosciuto il titolo di studio conseguito, una fetta sempre più grande di esclusi dal mondo del lavoro dovuta anche al progressivo invecchiamento della popolazione.
Poveri e ricchi
La scomparsa delle denominazioni non sta a significare la fine delle diseguaglianze. “La diseguaglianza sociale non è più solo la distanza tra le diverse classi, ma la composizione stessa delle classi”, scrive l’Istat. Secondo l’analisi dell’istituto statistico “la complessità delle attuali forme lavorative, la rarefazione dei confini tra classi sociali rende (almeno in teoria) più fluido il passaggio da un gruppo sociale a un altro, sia in ascesa sia in discesa, con evidenti ricadute sulla percezione di appartenenza e sulla possibilità di guadagnare mobilità sociale verso l’alto, sia intragenerazionale sia intergenerazionale”. “Ciò può essere particolarmente vero per le generazioni più giovani, maggiormente interessate alle nuove forme lavorative”.
Ripresa insufficiente
L’intensità della crescita economia è “insufficiente” e di conseguenza la ripresa “stenta ad avere gli stessi effetti positivi diffusi all’intera popolazione”, afferma il presidente dell’Istat, Giorgio Alleva. Nel 2016, prosegue Alleva, “l’Italia ha consolidato il processo di ripresa iniziato nel 2015” con un Pil al +0,9%, ma “rispetto a precedenti episodi di espansione ciclica, nella fase di ripresa attuale il processo di crescita stenta tuttavia ad affermarsi pienamente”. “I principali indicatori congiunturali – sottolinea ancora il presidente dell’Istat – presentano elevata volatilità e alla tendenza complessivamente positiva dell’industria si è per ora associata una fase di eterogeneità nell’andamento dei diversi comparti dei servizi”.
Si nasce meno ma si invecchia meglio
Gli italiani invecchiano meglio, ma sono soprattutto gli uomini a “guadagnare” più tempo in salute. Aumenta il numero di anni vissuti senza limitazioni nelle attività della vita quotidiana dopo i 65 anni. Si passa da 9,0 a 9,9 per gli uomini tra il 2008 e il 2015, e da 8,9 a 9,6 per le donne. Anche la percezione dello stato di salute mostra un lieve miglioramento, al netto degli effetti dell’invecchiamento. Si dichiara in buone condizioni il 67,7% della popolazione nel 2016, rispetto al 64,8% del 2009. Ma è il Paese a diventare più vecchio: la natalità continua a diminuire e il minimo osservato nel 2015 per le nascite risulta superato nel 2016 dal nuovo record nella storia dell’Italia unita (474 mila). Bisogna risalire alla metà del Cinquecento per ritrovare un così ridotto di numero di nati, quando peraltro l’Italia contava una popolazione pari a un quinto di quella attuale.
Nord e Sud
In campo economico persiste il dualismo territoriale del Paese: nel Mezzogiorno sono più presenti gruppi sociali con profili meno agiati, al Centro-nord gruppi sociali a medio o alto reddito, anche se le famiglie a basso reddito con stranieri, per scelte lavorative e minori legami territoriali, risultano prevalentemente collocate nelle zone settentrionali del Paese. (Il Tempo)
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