Milano 26 Maggio – L’intera vicenda delle facoltà umanistiche della principale università pubblica Milanese, che dal prossimo anno accademico dovrebbero diventare a numero chiuso, sta assumendo contorni sempre più surreali. Fino al comico spinto. Per esempio ieri è entrata in scena il ministro Fedeli. Che si è scagliata contro il rettore. In Italia, dice lei, abbiamo troppo pochi laureati. Così pochi, aggiungerei, che non se ne è trovato uno che potesse fare il Ministro dell’Istruzione, dovendo ripiegare su di lei che è diplomata. Forse. Dipende da cosa intendiamo con “diplomata”. Comunque, anche volendo staccarci dalle critiche alla sua autorevolezza, c’è un aspetto molto più assurdo di fondo: il numero chiuso non è una scelta, per il rettore, didattica, ma economica. Di fronte ai continui tagli, dovendo razionalizzare le spese, si è deciso di puntare su altro. Quindi, se il ministro è proprio così contrario, potrebbe stanziare più soldi. Il problema è che non li ha. Per cui torniamo al punto di partenza: come investiamo le risorse? Sul tema Sala ha le idee chiare: non possiamo produrre disoccupati. Ed in effetti è dura dargli torto. L’unico appunto che mi sento di fare in materia è che chiudere l’università non è furbissimo, la cosa migliore sarebbe, semplicemente, dividere i partecipanti in due (o più, vedessero loro quanti scaglioni fare) categorie: quelli che pagano quanto ora (cioè poco in rapporto al servizio fornito) e gli altri, che pagano i costi effettivi. Non sarebbe una proposta stellare o nuovissima: esiste da sempre negli ospedali, i cosiddetti dozzinanti, e persino nell’università di fa, con i singoli esami, ad esempio.
Il problema, qui, non è però pratico. Nessuno lo vuol risolvere su quel piano. È ideologico. Si difende l’idea di un’Università come luogo dorato fuori dal Mondo, dove si fa una cosa chiamata Cultura, per cui pagano altri a cui non si ha l’obbligo di fornire alcun risultato. È una condizione dell’anima in cui puoi fare un po’ tutto quello che vuoi, tanto paga Pantalone. Ed alla fine della quale pazienza se non trovi lavoro. Tanto l’obiettivo è stato, comunque, raggiunto: i prof vengono pagati, gli intellettuali sono felici, i compagni hanno il loro feudo e tutta la catena è protetta. Questo porta all’assunto ideologico per cui l’università pubblica è la soluzione ad ogni male, per ogni facoltà. Tanto sta gente fa filosofia, mica economia, no? Ecco, il problema è che li abbiamo lasciati liberi di pensarlo così a lungo che, appena qualcuno fa entrare una lama di luce nel loro delirio, la reazione è convulsa. Tanto da arrivare a dire che è irrilevante in cosa, l’importante è la laurea, purché sia ed a prescindere da chi paga.
Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato due anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione,