Ecco le principali leggi che discriminano gli italiani e favoriscono gli stranieri

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Dai contributi alle imprese, alle case, ai posti di lavoro: Governo, Regioni e Comuni sfornano a getto continuo provvedimenti che favoriscono gli stranieri e discriminano chi invece è nato qua.

Milano 10 Giugno – Mentre l’immigrazione cresce senza freni dal 2013, l’occupazione e i redditi degli italiani sono crollati. Ma, nonostante questo, governo e amministrazioni locali adottano provvedimenti che favoriscono gli stranieri discriminando, di fatto, i cittadini. Il Tesoro ha annunciato l’aumento della spesa per i migranti: 3.4 miliardi, una cifra triplicata rispetto a quattro anni fa. Confindustria stipula accordi con il ministero dell’Interno per attivare corsi di formazione riservati agli extracomunitari richiedenti asilo. Il ministero del Lavoro offre finanziamenti agli imprenditori tra i 18 e i 30 anni purché provengano da Paesi fuori dall’Ue. I Comuni e il Viminale trovano l’intesa per impiegare gli immigrati nei lavori socialmente utili a titolo gratuito, mettendo così fuori mercato i cittadini disoccupati. Infine, Roma e le altre grandi città attuano soluzioni per la crisi abitativa, ma solo per rom e clandestini. Ecco tutti i provvedimenti che discriminano gli italiani.

Bandi di aiuto alle imprese tirate su da cittadini che non provengono da Paesi dell’Unione europea, protocolli tra ministero e Confindustria per favorire l’assunzione di migranti, accordi con la pubblica amministrazione per far svolgere lavori socialmente utili non retribuiti ai richiedenti asilo, case popolari assegnate agli stranieri. Gli aiutini del governo che escludono gli italiani sono in aumento.

Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan l’aveva annunciato: nel 2017 l’Italia dovrà affrontare «spese straordinarie superiori allo 0 ,2 per cento del Pil per i migranti» , circa 3,4 miliardi, che sono triplicati rispetto al 2013, perché i flussi migratori negli ultimi anni sono cresciuti a dismisura. A queste spese vanno ad aggiungersi, in un momento di forte crisi economica che fa stringere la cinghia alle famiglie, quelle per gli stranieri residenti. Secondo recenti stime della Commissione europea, il Pil italiano è cresciuto dello 0,9 percento nel 2016, un risultato migliore soltanto di quello greco. Le previsioni per il 2017 piazzano l’Italia all’ultimo posto Ue per la crescita del Pil (sempre con lo 0,9 per cento). Nonostante il segno più la situazione non è affatto positiva. Le aziende italiane continuano a chiudere. Secondo uno studio sui fallimenti di Cribis, società specializzata nella business information, nei primi tre mesi del 2017 sono fallite quasi 3.000 imprese. La media: 47 ogni giorno, 2 ogni ora. Quasi un’azienda su dieci ha difficoltà a ottenere accesso al credito: si tratta del 9 per cento, ovvero quasi il doppio della media Ue (che si ferma al 5). I dati del 2016 li ha forniti un’indagine della Bei, la banca europea per gli investimenti. Leggendo il rapporto, condotto su scala Ue con il coinvolgimento di oltre 12.500 imprese, «è il contesto politico e normativo in Italia a venire considerato dalle aziende il principale ostacolo alla realizzazione degli investimenti» . E le startup? Stando all’European startup monitor «sopravvivono, hanno pochi dipendenti e tanti incubatorì». Più di una startup su 4 passa da lì. Sono state escluse anche dal bando Giovani zg del ministero del Lavoro e delle politiche sociali, che finanzia con 1.500.000 euro esclusivamente le startup di stranieri residenti. All’inizio del 2010 i residenti stranieri in Itala erano 4.235.000 ma, secondo le stime del Rapporto Caritas, includendo tutte le persone regolarmente soggiornanti seppure non ancora iscritte in anagrafe, si arriva a quasi 5 milioni, ovvero un immigrato ogni 12 residenti. L’aumento dei residenti è stato di circa 3 milioni di unità nel corso dell’ultimo decennio, durante il quale la presenza straniera è pressoché triplicata, e di quasi 1 milione nell’ultimo biennio. E allora spesso accade che, ad esempio, gli stranieri residenti e con permesso di soggiorno hanno redditi più bassi e nuclei familiari più numerosi che, quindi, gli permettono di avvantaggiarsi nelle graduatorie per l’assegnazione delle case popolari.

Come è accaduto a Roma per i rom, dove il Campidoglio grazie a fondi europei (3,8milioni di euro per il solo 2017) garantirà a circa 130 famiglie rom (800 persone) «scolarizzazione, occupazione, salute, abitazione». Più nello specifico: per un massimo di due anni e a chi ne ha diritto sulla base del reddito e della composizione familiare, il Comune offrirà case popolari e un contributo per l’affitto a chi oggi vive nei campi rom. In altre città italiane la proporzione di alloggi popolari concessi agli stranieri è arrivata anche a picchi del 51 per cento, come nel 2014 a Bologna, o del 40 per cento (Torino 2016).

Altro dato che fotografa la situazione proviene dalle dichiarazioni dei redditi. Nell’ultimo anno i contribuenti nati all’estero che hanno versato allo Stato l’imposta netta, stando all’ultimo studio della fondazione Leone Moressa, sono 2,3 milioni, pari al 7,5 per cento del totale. L’Irpef complessivamente versata raggiunge i 7,2 miliardi di euro, pari al 4,6 per cento del totale, con un aumento del 6,4 per cento rispetto all’anno precedente. Stando alle dichiarazioni dei redditi, quindi, si comincerebbe ad avvertire la ripresa economica, sia per gli italiani, con un timido più 2,6 per cento nel gettito Irpef, ma soprattutto per gli stranieri che raggiungono il 6,4 per cento in più. Complessivamente, però, dal 2010 al 2016 l’Irpef dei migranti è aumentata del 13,4 per cento, mentre il gettito degli italiani è diminuito (-1,6 per cento) . La crisi, insomma, grazie anche agli aiuti degli ultimi governi, fa bene agli stranieri.

Fabio Amendolara e Carlo Tarallo (La Verità)

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