In via Napo Torriani il locale che offre pet therapy assieme al brunch rispettando i felini
Non è un luogo comune. Il Crazy Cat Café è il primo e al momento unico indirizzo a Milano dove, dalla mattina alla sera, dalla colazione all’aperitivo, tra un cappuccino schiumoso e una fetta di torta appena sfornata, tra una cioccolata calda fatta in casa e un calice di vino bio, si coccola Biondi, si gioca con Bowie, si ascolta un disco con Elvis e con Mina, si guarda dormire Elton e saltare dal pianoforte alla cassa Ioey, mentre Patti fa le fusa, Jìmmy sta sulle sue e Freddie fissa il menù. Come a chiederti: «Preferisci un muffin al volo o ti fermi per uno spuntino?» Ospitali, divertenti, sono i nove gatti trovatelli, nonché veri proprietari, di questo locale che, aperto in via Napo Torriani 5, a due passi dalla stazione Centrale meneghina, segue la scia dei neko caffè nipponici. «L’idea è nata al rientro da un viaggio in Giappone con il mio compagno e ora socìo-gattaro», racconta Alba Galtieri. «Insieme abbiamo pensato di proporre in versione made in Italy una formula che in Asia è molto diffusa e che a noi ha subito incantato». Detto, fatto. Cinque vetrine su strada e uno spazio accogliente all’interno, pennellato di turchese e arredato con gusto vintage.
Mobili di legno, pianoforte, giradischi. Cucina a vista, locandine a tema e una colonia di gatti in bella mostra. Con cui passare il tempo e regalarsi delle simil sessioni di pet-therapy. «Non esiste antistress migliore di affondare la mano nel morbido pelo di un gatto », dice Giada, studente ventenne seduta sul divanetto del Crazy Cat Café. «Anche “guardarli e non toccarli” trasmette calma e buon umore», aggiunge la madre.
Giovani e meno giovani apprezzano il cat-bar, i bambini ne vanno a matti. Usciti da scuola, trascinano le mamme a far merenda con amici al seguito e miei di sfondo. Tutti, indipendentemente da età, orario e clima (freddo e pioggia inclusi), bussano alla porta e aspettano di essere accompagnati dentro. Funziona così, qui. È una delle regole di casa, come recita a chiare lettere il cartello all’entrata: «NON aprire da soli questa porta, gli ingressi vengono gestiti dal personale. Si prega di aspettare FUORI(sul marcìapìede)». Ed è da rispettare: non tanto per le maiuscole minacciose, ma per non correre il rischio che Patti, Mina e gli altri della banda a quattro zampe escano, oltre che per cadenzare le entrate. Che sono limitate a 30-35. Il motivo? «Per i nostri gatti, ancor prima che per i nostri clienti, vogliamo un ambiente tranquillo: via vai e alti toni di voce, per non parlare di grida e suonerie a tutto spiano, non vanno bene per i micì che, qui, hanno la prima e l’ultima”parola”», spiega Alba.
Per lei e per il suo compagno e socio Marco non si scherza, quando si parla di rispetto dello stile di vita di un gatto. E loro lo sanno bene, grazie alla comportamentista felina che li segue. «Ci siamo fatti guidare nella scelta dei gatti, perché non tutti sono super social, nell’impostazione dell’ architettura del locale e nella formulazione delle regoline». Che poi non è che siano dei diktat assurdi o delle richieste tra lo strampalato e il paranoico. Sono norme di buona educazione e di rispetto del quieto vivere felino. Invitano a non svegliare o stuzzicare un micio mentre dorme, a non strapazzarlo, a non dargli da mangiare cose a caso, a non farlo saltare in aria a colpi di foto e flash, a non portare con sé altri animali. In sintesi: a non rompergli le scatole. In cambio fusa e relax a volontà.
Camilla Golzi Saporiti (Il Giornale)
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