Milano 12 Luglio – Era l’estate del 1158 e un vasto esercito al comando dell’imperatore tedesco Federico I avanzava contro Milano. L’esercito straniero, rafforzato dalle truppe delle città lombarde nemiche di Milano, assediò la città che non sembrava per nulla impressionata dal poderoso esercito nemico; anzi, gli assediati presero a farsi beffa degli assedianti ritenendoli rozzi e ridicoli. Scrive, ancora Garobbio: “Gli eserciti usavano schernirsi; sappiamo che in certi assedi si lanciava con un mangano un asino vivo e la povera bestia passando sopra le mura piombava di schianto dentro la città”. C’è da dubitare di tale usanza, giacché se si pone l’assedio a una città pensando di stringerla nei morsi della fame, non sarebbe troppo logico riversarvi poi dentro quintali di carne fresca da affettare e gettare in pentola. E, benché tale gesto fosse considerato da chi lo compiva atto d’intimidazione, piuttosto che rifornimento di cibo, come impedire a una popolazione affamata che vedeva piombargli addosso un intero asino non scorgervi in esso ciò che più le aggradava? Ma non vogliamo soffermarci troppo a ragionare sul grado intellettivo raggiunto dalla popolazione medievale di quel periodo. O indagare se tali fatti si siano mai verificati oppure no. Comunque si siano svolti i fatti, forse i milanesi si lasciarono realmente ispirare da tali racconti e iniziarono a pensare che fosse meglio fare entrare nelle proprie mura bestie nemiche vive piuttosto che morte. Forse tutto iniziò per burla, ma sembra che di tanto in tanto qualche milanese riuscisse davvero a uscire dalla città assediata e, anziché pensare di mettere in salvo la propria vita, andava a rubare i cavalli agli scudieri dell’esercito nemico e li conduceva entro le mura. Ne presero così tanti che un cavallo era venduto per quattro soldi.
Quando poi il nemico riuscì a forzare una delle porte della città, Porta Tosa, i milanesi gli tennero testa coraggiosamente. I rinforzi nemici però arrivavano in gran numero e i valorosi milanesi indietreggiarono infine sopraffatti. Porta Tosa sarebbe stata conquistata dal nemico se, come scrisse il Garobbio, “una di quelle donnette di facili costumi non intervenisse tenendo a bada con le sue arti gli attaccanti”.
Il Garobbio fa anche notare che quando fu ricostruita Porta Tosa, l’attuale Porta Vittoria, i milanesi rappresentarono la moglie dell’imperatore nemico con le gambe aperte intenta a radersi il pube (immagine che fu poi rimossa nel 1848 per volere di San Carlo Borromeo in quanto ritenuta sconcia e attualmente esposta presso il castello sforzesco di Milano). Lo scrittore fa notare che quell’immagine potrebbe essere stata ispirata dall’evento di Porta Tosa. Dunque essa rappresentava la prostituta che si impegnò a distrarre il nemico affacciandosi al balcone con le vesti sollevate atta a radersi, mentre i suoi connazionali lo ricacciavano indietro, piuttosto che l’imperatrice.
C’è però la possibilità che l’immagine fosse realmente riferita all’imperatrice, volendo i milanesi esporla in coppia con quella dell’imperatore nemico che fu immortalato mentre il diavolo se lo portava via sulle corna così com’era rappresentato sugli archi di Porta Romana.
Anche la scelta delle porte probabilmente non fu casuale: indipendentemente dall’evento dello sfondamento di Porta Tosa, il nome stesso ‘tosa’, da solo, potrebbe aver ispirato il bassorilievo dell’imperatrice in atto di tosarsi sconciamente. La parola milanese ‘tosa’ infatti, ha il significato di ragazza; mentre ‘tosà’, ha il significato di radere. In quanto a Porta Romana, era la porta che apriva la strada per Roma, la sede del papato; non si sa se i milanesi, con la rappresentazione dedicata all’imperatore nemico, sperassero che il diavolo lo portasse dal Papa per ricevere una giusta punizione oppure se ritenessero che sia l’imperatore sia il Papa fossero sulla buona strada per l’inferno.
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Michela Pugliese
Dal libro ‘All’ombra del castello’
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